di Sonia Lazzini

La cauzione provvisoria della Legge Merloni ha la medesima funzione della clausola penale: è dovuta a prescindere dalla prova della lesione ed è diretta a a predeterminare le conseguenze dell’inadempimento in funzione di liquidazione forfettaria del danno, prescindendo dall’esatta portata quantitativa del nocumento patito dalla pubblica amministrazione

Cauzione definitiva costituita a favore dell’amministrazione a garanzia degli obblighi convenzionali per la gestione del gioco del bingo: la sua funzione è quella di garantire la posizione del creditore, che deve quindi dimostrare l’avvenuto mancato adempimento nei termini e secondo le modalità prestabilite nonché il pregiudizio prodotto

Il Tar Lombardia, sezione staccata di Brescia, con la sentenza numero 663 del 18 giugno 2004 si occupa di una controversia sorta a fronte di una ad una gara comunitaria indetta dal Ministero dell’Economia per la gestione del gioco del bingo

In particolare :

la ricorrente deduce la violazione dei principi generali in tema di incameramento delle cauzioni e del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, avendo l’amministrazione provveduto all’escussione della cauzione sic et simpliciter, in assenza di una qualsiasi preventiva quantificazione del danno e di ogni indagine sull’imputabilità del dolo o della colpa dell’aggiudicatario e conferendo in tal modo all’escussione una finalità sanzionatoria del tutto impropria rispetto alla funzione tipica della cauzione; la figura non sarebbe assimilabile ad una clausola penale finalizzata alla determinazione preventiva e forfettaria del danno, come viceversa avverrebbe per la cauzione provvisoria negli appalti pubblici.

Quello che ci preme sottolinerare è il seguente passaggio che troviamo nell’emarginata sentenza:

Tuttavia, in difetto di un’esplicita previsione, essa non può essere ritenuta assimilabile alla clausola penale e non è soggetta quindi, alla disciplina degli artt. 1382, 1383 e 1384 c.c., per cui l’amministrazione non è esonerata dalla prova del pregiudizio effettivamente subito a causa dell’inadempimento dell’altro contraente. La clausola penale costituisce un patto che, rafforzando la posizione creditoria, determina in via preventiva e forfettaria il risarcimento del danno per il ritardo o per l’inadempimento dell’obbligazione, e la sua prestazione è dovuta a prescindere dalla prova della lesione: un esempio di questo tipo, che può essere citato, è quello della prestazione della caparra pari al 2% dell’importo dei lavori di cui all’art. 30 comma 1 L. 11/2/1994 n. 109, la quale è diretta a coprire la mancata sottoscrizione del contratto per fatto proprio dell’aggiudicatario ed ha la medesima funzione della clausola penale, essendo diretta a predeterminare le conseguenze dell’inadempimento in funzione di liquidazione forfettaria del danno, prescindendo dall’esatta portata quantitativa del nocumento patito dalla pubblica amministrazione, tant’è che non viene prevista espressamente la risarcibilità del pregiudizio eventualmente non coperto dalla cauzione in parola (Tar Lazio, sez. III – 29/3/2000 n. 2443

Ricordiamo, a proposito della FUNZIONE DEL PAGAMENTO A SEMPLICE RICHIESTA SCRITTA, quanto precedentemente segnalatoci dalla nostra giurisprudenza:

Il parere del giudice civile

Sentenza Pretura civile di Bologna n. 110 del 7 gennaio 1999 (…)

Ritiene il Pretore, come già evidenziato nell’ordinanza riservata in data 4/2/1997, che non possa esserci dubbio sul fatto che il contratto di cui è causa rappresenti quella forma di garanzia atipica che in dottrina e giurisprudenza è stata chiamata nei diversi modi di assicurazione fidejussoria, assicurazione cauzionale, polizza fidejussoria, polizza assicurativa o cauzione fidejussoria.

Finalità del contratto è quella di esentare il contraente tenuto al versamento di una cauzione da un esborso immediato a garanzia delle obbligazioni assunte nei confronti del terzo, il che avviene riversando il relativo obbligo su un’impresa assicurativa, dietro corrispettivo di un premio. Non si realizza però una datio immediata di denaro al creditore garantito, ma solo la prestazione di una garanzia in ordine all’adempimento di un debito pecuniario, normalmente subordinato (come nel caso concreto) ad un accertamento insindacabile ed a semplice richiesta del creditore. Così, la clausola di “pagamento a prima richiesta e senza eccezioni”, unitamente alla solidità economica del garante, fornisce al creditore la stessa sicurezza del deposito cauzionale, pur senza immobilizzo di denaro da parte del debitore

La già descritta clausola del pagamento “a prima richiesta” è poi la più comune delle deroghe che le parti apportano alla disciplina legale delle fidejussione, una volta che viene stipulata una assicurazione fidejussoria. Tale clausola, stipulata con assoluta evidenza anche nel contratto di cui è causa, deroga al disposto di cui all’articolo 1945 c.c. (“il debitore può opporre contro il creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, salva quella derivante dall’incapacità”).

Ritiene infatti la giurisprudenza, ed il Pretore non ha motivo di discostarsi da questa posizione, che la pattuizione in oggetto renda non invocabili da parte del fidejussore le eccezioni che potrebbero essere sollevate dal debitore principale relativamente al rapporto sottostante. Pertanto, il creditore ha la possibilità di realizzare il suo credito sui beni oggetto della garanzia mediante un atto unilaterale di richiesta scritta ed incameramento della cauzione, con effetti analoghi a quelli del deposito cauzionale, ferma ovviamente restando la possibilità di eventuale rivalsa nel caso di successivo accertamento definitivo dell’inesistenza del debito assolto .

Tale posizione giurisprudenziale è facilmente comprensibile se si riflette sulla natura giuridica del contratto di fidejussione con clausola a prima richiesta, che si è detto avere la stessa funzione del deposito cauzionale. Infatti, tale funzione di deposito cauzionale sarebbe irrimediabilmente frustrata e completamente stravolta se si consentisse al fidejussore di eccepire le eccezioni relative al rapporto principale, e la clausola “a prima richiesta” perderebbe in tal caso ogni significato e valenza.

Gli unici due casi in cui la giurisprudenza ritiene di superare il principio dell’inopponibilità al creditore delle eccezioni fidejussorie, e quindi di superare la funzione di deposito cauzionale svolta dal contratto, riguardano la fattispecie di eccezioni relative direttamente al contratto di fidejussione e quelle rientranti nella cosiddetta exceptio doli. Così, da un lato si ritengono ammissibili eccezioni tese a far valere l’invalidità del contratto di fidejussione; dall’altro, lato, eccezioni tese a far emergere incontestabili e palesi violazioni del principio di buona fede o di abuso del diritto (…)”.

Il parere del giudice amministrativo

Tar della Sicilia – sez. II – sentenza numero 326 del 24 gennaio 2001

che la clausola di pagamento “a semplice richiesta” inserita in un contratto di assicurazione fideiussoria vale a qualificarlo come contratto autonomo di garanzia con la conseguente inapplicabilità a tale fattispecie negoziale della disciplina legale tipica della fideiussione (Cassazione civile, sez. III, 6 aprile 1998, n. 3552)

– che l’assicurazione fideiussoria o cauzionale, nella quale è inserita la clausola di pagamento a semplice richiesta del creditore, derogando alla regola dell’art. 1945 c.c., preclude al fideiussore l’opponibilità delle eccezioni che potrebbero essere sollevate dal debitore principale e assicura, per tale via, al creditore garantito una disponibilità di denaro immediato con effetti analoghi a quelli del deposito cauzionale. Essa, quindi, dà luogo ad una obbligazione diretta ed autonoma dell’assicuratore nei confronti del beneficiario ed una responsabilità dello stesso assicuratore per il puntuale adempimento di tale obbligazione, anche nei confronti del debitore principale (Cassazione civile, sez. III, 4 aprile 1995, n. 3940);

– che al contratto cosiddetto di assicurazione fideiussoria (o cauzione fideiussoria o assicurazione cauzionale), caratterizzato dall’assunzione di un impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazioni, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso di inadempimento della prestazione a lui dovuta da un terzo, sono applicabili le disposizione della fideiussione, salvo che sia stato diversamente disposto dalle parti. E rispetto alla disciplina della fideiussione, riveste carattere derogatorio la clausola con la quale venga espressamente prevista la possibilità, per il creditore garantito, di esigere dal garante il pagamento immediato del credito “a semplice richiesta” o “senza eccezioni”. In tal caso, in deroga all’art. 1945, è preclusa al fideiussore l’opponibilità delle eccezioni che potrebbero essere sollevate dal debitore principale, restando in ogni caso consentito al garante di opporre al beneficiario l'”exceptio doli”, nel caso in cui la richiesta di pagamento immediato risulti “prima facie” abusiva o fraudolenta (Cassazione civile sez. III, 6 aprile 1998, n. 3552) (…).

TAR Lazio, Roma, n. 3971 del 7 maggio 2002

Rileva, al riguardo, il Collegio che la formulazione della clausola contenente la locuzione “a semplice richiesta scritta” della stazione appaltante, è prescritta espressamente dall’art.30, comma 2-bis della legge 11 febbraio 1994, n.109 (c.d. Merloni-ter) -introdotto dall’art.9, comma 55 della legge 18 novembre 1998, n. 415- nonchè dalla lettera d’invito alla licitazione privata (punto 8, comma 6, pag.5).

La circostanza che detta espressione sia tassativamente richiesta dalla normativa di riferimento e dalla lex specialis della gara, comporta che la clausola, nell’indicata formulazione, costituisce elemento indefettibile ed assume, a garanzia della regolarità della procedura concorsuale e della par condicio dei concorrenti, valore sostanziale ed essenziale, con la conseguenza che non possono ritenersi ammissibili formule equipollenti e che la sua omissione si traduce in una mancanza non suscettibile di regolarizzazione, bensì passibile di esclusione dal novero dei partecipanti.

Osserva, d’altra parte, il Collegio che il richiamo nella polizza fideiussoria dell’art.4 delle condizioni generali di contratto non vale, comunque, a costituire l’equipollente della clausola pretermessa o inesattamente formulata, giacchè, come testualmente riferito dalla stessa ricorrente, nella cauzione la Società garante si impegnava al pagamento delle somme dovute “entro il termine massimo di trenta giorni dal ricevimento della richiesta scritta dell’Ente Garantito”, oltrechè alla rinuncia al beneficio della preventiva escussione della ditta obbligata.

Consiglio di Stato – Sez.V – Decisione n. 32 del 10 gennaio 2003

Qualora una fideiussione espressamente PREVEDA la rinuncia al “beneficium excussionis” ed inoltre l’obbligo del fideiussore di versare all’ Ente beneficiario quanto richiesto in termini brevi previo un semplice avviso al garantito e senza il riconoscimento al garantito di alcuna facoltà di svolgere eccezioni sul pagamento, allora si tratta di una obbligazione di garanzia del tutto autonoma rispetto al rapporto creditore – debitore principale.

Quindi…

Sulla base di tali presupposti di fatto al beneficiario sarebbe stata sufficiente la semplice richiesta al fideiussore – iniziativa non gravosa né esposta a rischi di sorta – per conseguire il pagamento di quanto dovuto anche in pendenza del giudizio nel quale si stava accertando la doverosità della corresponsione degli oneri di cui trattasi.

Inoltre il pagamento da parte del fideiussore degli oneri dovuti se soddisfa il creditore non libera il soggetto garantito nel rapporto interno con il garante e determina effetti contrattuali ben precisi voluti dalle parti secondo cui, di norma, il garantito deve poi rifondere il garante di quanto egli abbia versato in sua sostituzione.

Tar Puglia, Bari, n. 4443/2003

Né appare scontata, alla stregua di un’interpretazione letterale, la lettura riduttiva, proposta dalla ricorrente, dell’espressione “richiesta documentata” di pagamento, limitata cioè al solo onere di indicare la polizza assicurativa ed il verbale di aggiudicazione. Quello che risulta invece certo è che una siffatta clausola contrattuale è obiettivamente in contrasto con la previsione della lex specialis della gara, di pagamento a semplice richiesta scritta, oltre che con l’art. 30, comma 2 bis, della legge 11/2/1994, n. 109.

Tar Campania, Napoli, n. 431 2002

Invero tale escussione non richiedeva la dimostrazione concreta dei danni subiti, valendo relativa la clausola contrattuale – come tutte quelle della specie – quale liquidazione anticipata e forfettizzata del risarcimento dei danni insiti nello scioglimento prematuro del contratto.

Sotto altro profilo si tratta di fideiussione cd “a semplice richiesta” del soggetto garantito, per la quale la compagnia fideiubente è tenuta all’immediato pagamento dell’importo relativo, senza beneficio della preventiva escussione e nemmeno preventivo consenso di quest’ultima (cfr. polizza fideiussoria onde trattasi, artt. 5, 6 e 9, confermati in sede di sottoscrizione ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c.).

Tar Sicilia, Palermo, n. 1109 dell’ 11 luglio 2003

….in luogo di produrre una garanzia a prima richiesta, produce fideiussione bancaria contenente una clausola in forza della quale “insorgendo contestazioni tra le parti, la banca non pagherà se non in base a sentenza passata in giudicato”.

Tutte le modalità di prestazione della garanzia diverse dalla cauzione devono avere di quest’ultima la stessa efficacia. Ma se così è, allora la presenza della cd clausola “a prima richiesta” appare indispensabile per garantire alla stazione appaltante la stessa immediata realizzabilità della garanzia costituita dal deposito cauzionale.

La finalità della fideiussione “a prima richiesta” è proprio quella di trasferire sul garante i litigation risks, consentendo al garantito l’immediata realizzabilità della garanzia. Pertanto, nella fideiussione a prima richiesta il rischio di eventuali contestazioni ricade sul garante che dovrà pagare a prima richiesta, potendo opporre alla richiesta del creditore garantito soltanto l’estremo rimedio costituito dall’ exceptio doli, per poi rivalersi eventualmente sul debitore.

Riservarsi, come fa la banca nel caso che occupa, di pagare al momento del passaggio in giudicato della sentenza, potendo quest’ultima evenienza intervenire parecchi anni dopo, vanifica la portata della fideiussione, posto che appare sufficiente una contestazione qualsiasi, anche la più pretestuosa purchè azionata per via giudiziaria, per inibire il pagamento della garanzia alla stazione appaltante.

Il parere del giudice contabile

Già nel 2002 la Corte dei Conti, Sez dell’Emilia Romagna con la sentenza numero 1762 dell’ 1 luglio 2002 *** aveva sancito che:

” Nel caso di specie era in effetti prevista, nelle condizioni generali delle polizze che assistevano i tre contratti conclusi e poi rescissi d’ufficio, la clausola del pagamento “a semplice richiesta” (soltanto nella polizza della *** si richiedeva, come ulteriore requisito, l’allegazione della documentazione probatoria dell’inadempimento).

Non possono, quindi, sussistere dubbi sul potere-dovere dell’Ufficio di procedere immediatamente all’incameramento delle cauzioni così prestate: il fatto che a ciò non si sia proceduto – determinando un ritardo di quasi quattro anni nel recupero di quanto spettante all’Amministrazione – non può non essere addebitato alla grave negligenza dei funzionari su cui incombeva l’obbligo di provvedere o di vigilare in merito” .

Il parere del giudice contabile in appello

Sezione I giurisdizionale centrale d’appello – sentenza numero 200 decisa il 16 aprile 2004 e depositata il 27 maggio 2004 – appello di cdc Emilia Romagna n. 1762/2002

La Sezione sul punto ritiene pienamente condivisibile la tesi della Procura secondo cui “il tipo di polizza (per le fideiussioni) era caratterizzato dalla possibilità, per l’ente pubblico, attraverso apposita clausola generale, su semplice richiesta, di garantirsi la disponibilità immediata del denaro. Ciò appare sufficiente a dirimere ogni possibile paventato equivoco circa la decorrenza dell’entità della somma esigibile” e “il danno contestato era pari all’intera somma che le società assicuratrici erano tenute a versare in virtù delle clausole fideiussorie, a semplice richiesta, con il mero onere per l’amministrrazione, per uno solo dei tre contratti, di trasmettere la documentazione attestante l’inadempimento”.

Come ha reagito una regione…….

Regione VENETO Legge regionale 7 novembre 2003, n. 27 (BUR n. 106/2003) Disposizioni Generali In Materia Di Lavori Pubblici Di Interesse Regionale E Per Le Costruzioni In Zone Classificate Sismiche art. 30 garanzie

6. Tanto la cauzione provvisoria quanto la cauzione definitiva sono costituite esclusivamente mediante fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa o fideiussione rilasciata dagli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale di cui all’articolo 107 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 “Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia” e successive modificazioni, che svolgono in via esclusiva o prevalente l’attività di rilascio di garanzie. Conformemente alle disposizioni di cui alla legge n. 109 del 1994 la garanzia fideiussoria dovrà prevedere espressamente la rinuncia al beneficio della preventiva escussione del debitore principale e la sua operatività entro quindici giorni a semplice richiesta scritta della stazione appaltante.

7. L’inutile decorso del termine di quindici giorni di cui al comma 6 ne comporta l’automatica segnalazione da parte della stazione appaltante all’Osservatorio regionale degli appalti di cui al Capo X e la preclusione al soggetto fideiussore inottemperante rispetto al termine stesso di offrire garanzie per le ulteriori gare di affidamento di lavori pubblici di interesse regionale per sei mesi dalla data della segnalazione stessa. A tal fine l’Osservatorio regionale degli appalti provvede a pubblicare sull’apposito sito internet l’elenco dei soggetti fideiussori inottemperanti

A cura di Sonia LAZZINI

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Sezione staccata di Brescia – ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorso n. 1055/2003 proposto da

***** S.r.l.

rappresentata e difesa dall’avv. Corrado Mauceri, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Gianfranco Fontana in Brescia, Via XXV Aprile n. 32;

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE – AMMINISTRAZIONE AUTONOMA DEI MONOPOLI DI STATO

costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Brescia, con domicilio eletto presso i suoi uffici in Via S. Caterina n. 6;

e contro

LA ***** – ***** – COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI E RIASSICURAZIONI S.p.a.

costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli avv.ti Gianmaria Scofone e Gianfranco Becheri, con domicilio eletto presso la sede di quest’ultimo in Brescia, Via V. Emanuele II n. 31;

per l’annullamento

del decreto del Direttore generale dell’amministrazione autonoma dei monopoli di Stato di prot. 2003/27774/COA/BNG, emesso in data 17/6/2003, che ha disposto l’incameramento della cauzione costituita a favore dell’amministrazione a garanzia degli obblighi convenzionali per la gestione del gioco del bingo, nonché di ogni altro presupposto, preparatorio, richiamato, connesso e/o conseguente;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata e della ***** ***** Spa;

Esaminate le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Presa visione di tutti gli atti della causa;

Designato quale relatore alla pubblica udienza del 1/6/2004, il dott. Stefano Tenca;

Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

La ricorrente ha partecipato – nel corso del 2001 – ad una gara comunitaria indetta dal Ministero dell’Economia per la gestione del gioco del bingo, risultando aggiudicataria di una concessione presso la sala di Cremona, in Via Persico 17.

In data 7/3/2002 veniva stipulata – con l’amministrazione autonoma dei monopoli di Stato – una convenzione della durata di 6 anni, con decorrenza dall’effettivo inizio dell’attività di gestione del gioco. L’accordo prevedeva, all’art. 6, il deposito di una cauzione definitiva pari ad € 516.456,89 (1.000.000.000 di vecchie lire) a mezzo di fideiussione bancaria a “prima richiesta” o polizza assicurativa equivalente, che la ricorrente prestava regolarmente al fine di garantire l’adempimento dei propri obblighi.

Con lettera raccomandata del 7/3/2003, la ***** – allegando valutazioni di ordine economico-imprenditoriale collegate ad una gestione in perdita peraltro diffusa su tutto il territorio nazionale – comunicava alla controparte la volontà di rinunciare alla concessione, cessando così l’attività. In data 24/3/2003 l’Amministrazione riscontrava la nota, chiedendo la restituzione delle convenzioni sottoscritte ed il versamento del fondo per l’erogazione dei premi speciali. Contestualmente comunicava l’avvio del procedimento diretto ad incamerare la cauzione, invocando la violazione degli obblighi convenzionalmente assunti, mentre il successivo 17/6/2003, emetteva l’impugnato decreto, il quali disponeva l’escussione della fideiussione prestata.

Con ricorso notificato in data 26/9/2003, tempestivamente depositato, la ***** impugnava il decreto emesso dall’amministrazione, deducendo i seguenti motivi:

Violazione e falsa applicazione del D.M. 31/1/2000 n. 29, degli artt. 3, 6 e 15 della convenzione di concessione e del decreto direttoriale 11/7/2001, eccesso di potere per difetto dei presupposti, in quanto le menzionate disposizioni – di natura normativa e contrattuale – individuerebbero analiticamente le conseguenze sanzionatorie ricollegandole a specifici comportamenti negligenti del gestore, senza tuttavia contemplare in alcun modo la rinuncia, la quale pertanto non sarebbe qualificabile come inadempimento sanzionabile con l’escussione della cauzione definitiva;

Violazione dei principi generali in tema di incameramento delle cauzioni e del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, avendo l’amministrazione provveduto all’escussione della cauzione sic et simpliciter, in assenza di una qualsiasi preventiva quantificazione del danno e di ogni indagine sull’imputabilità del dolo o della colpa dell’aggiudicatario e conferendo in tal modo all’escussione una finalità sanzionatoria del tutto impropria rispetto alla funzione tipica della cauzione;

Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, avendo l’amministrazione omesso di effettuare una ponderazione comparativa dei contrapposti interessi in gioco, trascurando di considerare le gravi ragioni di carattere economico finanziario che avevano indotto la ricorrente a rinunciare alla concessione;

Questa Sezione, con ordinanza n. 969 emessa nella Camera di consiglio in data 4/11/2003, ha accolto la domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato.

Alla pubblica udienza del 1/6/2004 il ricorso veniva chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo ed il terzo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.M. 31/1/2000 n. 29, degli artt. 3, 6 e 15 della convenzione di concessione e del decreto direttoriale 11/7/2001, eccesso di potere per difetto dei presupposti, in quanto le menzionate disposizioni – di natura normativa e contrattuale – individuerebbero analiticamente le conseguenze sanzionatorie ricollegandole a specifici comportamenti negligenti del gestore, senza tuttavia contemplare in alcun modo la rinuncia, la quale pertanto non sarebbe qualificabile come inadempimento sanzionabile con l’escussione della cauzione definitiva. Deduce in particolare il ricorrente che l’art. 1 comma 5 del Decreto 11/5/2001 prevederebbe, in caso di rinuncia, l’automatico scorrimento della graduatoria con l’assegnazione di una nuova concessione, di analogo contenuto, ad altro soggetto idoneo. Con il terzo motivo la ricorrente si duole dell’eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, avendo l’amministrazione omesso di effettuare una ponderazione comparativa dei contrapposti interessi in gioco, trascurando di considerare le gravi ragioni di carattere economico finanziario che avevano indotto la ricorrente a rinunciare alla concessione.

La censura è priva di pregio.

Il Decreto del Ministero delle Finanze 31/1/2000 n. 29 “Regolamento recante norme per l’istituzione del gioco del Bingo ai sensi dell’art. 16 della L. 13/5/1999 n. 333”, riserva l’esercizio del gioco al Ministero dell’Economia e Finanze (art. 1), demandando la relativa gestione a concessionari privati da individuarsi a mezzo di gare pubbliche espletate secondo la normativa comunitaria. Il successivo art. 2 – dopo aver precisato i criteri da osservare nell’assegnazione della concessione – stabilisce al comma 2 che “Con decreto del Ministero delle Finanze sono approvate le convenzioni-tipo…”, che accedono ad essa secondo la figura della cd. concessione-contratto, in cui dal provvedimento trae origine un accordo sottoscritto dalla parte pubblica e dalla parte privata.

Siamo di fronte, anzitutto, ad una concessione amministrativa, ossia ad un provvedimento unilaterale di tipo discrezionale destinato ad ampliare la sfera giuridica del destinatario, e caratterizzato dai tre connotati tipici della precarietà, revocabilità e della necessità di una previsione di legge: il rapporto può infatti costituirsi solo se una norma espressa lo prevede, mentre il concedente resta comunque titolare di penetranti poteri di direttiva e di controllo che possono sfociare in un atto di ritiro del titolo abilitativo. Alla concessione accede una convenzione, dando vita al fenomeno della cd. concessione-contratto, caratterizzata dalla contemporanea presenza di elementi pubblicistici e privatistici, sicchè la pubblica amministrazione viene a trovarsi in una posizione particolare e privilegiata rispetto alla controparte in quanto dispone, oltre che dei diritti e delle facoltà che nascono comunemente dal contratto, di potestà pubblicistiche che derivano direttamente dalla necessità di assicurare l’interesse generale in quel particolare settore cui inerisce la concessione (Tar Trentino Alto Adige – 11/11/2002 n. 495).

Appare quindi evidente che la fattispecie sottoposta all’esame del Collegio è di tipo contrattuale e, successivamente alla fase pubblicistico-procedimentale che precede la sua conclusione, resta assoggettata alla disciplina del codice civile. E’ infatti opinione prevalente che i poteri di supremazia appartenenti all’Ente pubblico nella gestione del rapporto non ne alterino la natura privatistica, dato che il loro utilizzo è subordinato alla ricorrenza di precisi presupposti stabiliti dal legislatore. La Corte di Cassazione ha infatti ripetutamente sottolineato che le controversie nascenti dall’esecuzione di contratti – nella specie di appalto di opere pubbliche – hanno ad oggetto posizioni di diritto soggettivo inerenti a rapporti di natura privatistica, sulle quali non hanno alcuna incidenza i poteri discrezionali ed autoritativi della Pubblica Amministrazione, anche quando la decisione dell’Amministrazione appaltante di recedere dal rapporto o di risolverlo sia adottata con atto amministrativo, non costituendo questo esplicazione di un potere di indole pubblicistica ma operando esclusivamente nell’ambito delle paritetiche posizioni contrattuali delle parti (cfr. per tutte Corte di Cassazione, Sezioni unite civili – 4/1/1993 n. 2).

In questo contesto, l’art. 1 comma 3 del D.M. 11/5/2001 prevede che “Parimenti saranno valutate le responsabilità connesse all’intempestiva rinuncia degli assegnatari per i danni erariali che ne scaturiranno e per la tutela degli aventi diritto al subentro nell’assegnazione”, mentre l’art. 3 comma 5 lett. h) della convenzione prevede l’obbligo, in capo al concessionario, di “garantire la continuità del servizio per almeno 11 mesi all’anno, per almeno 6 giorni la settimana, compresi in ogni caso i festivi, e per almeno 8 ore al giorno”.

La puntualizzazione di taluni obblighi negoziali all’interno del testo contrattuale non esclude l’applicazione dei principi generali in materia di inadempimento delle obbligazioni, ed in particolare delle norme di cui agli artt. 1218 e 1453 del c.c., i quali ricollegano al mancato assolvimento degli impegni assunti il dovere di riparare le conseguenze dannose subite dalla controparte. La natura contrattuale della convenzione impone infatti di interpretarla alla luce dei comuni principi civilistici, salvo naturalmente le norme pubblicistiche – previste nell’interesse precipuo dell’Ente – che incidono su di essa ab externo.

Né a contraria conclusione può approdarsi sottolineando la mancata previsione di specifiche conseguenze a seguito dell’eventuale dichiarazione di rinuncia del concessionario, mentre sarebbe stabilito di procedere allo scorrimento della graduatoria, adempimento che consentirebbe di individuare un nuovo gestore. Deve anzitutto osservarsi che – in disparte il citato art. 1 comma 3 del D.M. 11/5/2001 che evidenzia la necessità di valorizzare i danni prodotti dall’intempestiva rinuncia degli assegnatari – la garanzia di continuità del servizio, puntualmente e dettagliatamente contemplata dalla convenzione che vieta qualsiasi tipo di interruzione anche di breve durata, è destinata a subire una grave lesione dal recesso unilaterale del concessionario, il quale determina un’improvvisa cessazione del servizio. La successiva stipulazione di un accordo con il concorrente che segue in graduatoria, da un lato richiede i tempi tecnici necessari per l’attivazione della sala (comunicazione, predisposizione delle risorse umane ed organizzative, presa di possesso, etc.), mentre dall’altro è un’ipotesi solo eventuale in quanto il soggetto interpellato a distanza di anni dallo svolgimento della gara ben può rifiutare l’adesione alla convenzione adducendo ragioni di opportunità e convenienza.

Non coglie nel segno neppure l’invocata necessità di operare una ponderazione comparativa dei contrapposti interessi in gioco, valutando le gravi ragioni di carattere economico finanziario che avevano indotto la ricorrente a rinunciare alla concessione: in presenza di un rapporto contrattuale, vale al contrario il principio codicistico della vincolatività del contratto ex art. 1372 c.c., che esclude la possibilità di liberarsi anticipatamente dagli impegni assunti in assenza di una contraria disposizione negoziale ovvero del consenso manifestato da tutte le parti contraenti (cd. mutuo dissenso). La possibile valorizzazione di peculiari condizioni di tipo economico finanziario resta allora subordinata alla rigorosa dimostrazione del verificarsi di eventi straordinari ed imprevedibili – non riducibili alla normale alea contrattuale – che rendano la prestazione di una delle parti eccessivamente gravosa, con conseguente possibilità di richiedere la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità. Cosa che nella fattispecie non ha avuto luogo.

Del resto si può far cenno alla stessa facoltà di recesso unilaterale dal contratto di appalto – prevista dalla legge a favore del committente – a fronte della quale è comunque previsto l’obbligo di corresponsione di un indennizzo (art. 1671 c.c.) che la giurisprudenza ha qualificato come obbligazione risarcitoria (Cassazione civile, sez. II – 8/1/2003 n. 77).

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione dei principi generali in tema di incameramento delle cauzioni e del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, avendo l’amministrazione provveduto all’escussione della cauzione sic et simpliciter, in assenza di una qualsiasi preventiva quantificazione del danno e di ogni indagine sull’imputabilità del dolo o della colpa dell’aggiudicatario e conferendo in tal modo all’escussione una finalità sanzionatoria del tutto impropria rispetto alla funzione tipica della cauzione; la figura non sarebbe assimilabile ad una clausola penale finalizzata alla determinazione preventiva e forfettaria del danno, come viceversa avverrebbe per la cauzione provvisoria negli appalti pubblici.

La doglianza è fondata.

La vigente legislazione prevede, per coloro che contraggono obbligazioni nei confronti dello Stato o di altri Enti pubblici, l’obbligo di prestare una cauzione (R.D. 23/5/1924 n. 827, recante il regolamento per l’esecuzione della legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato; D.M. 19/4/2000 n. 145, recante il capitolato generale d’appalto dei lavori pubblici, ai sensi dell’art. 3, comma 5, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni). È nondimeno consentito che, in luogo della cauzione, possa essere rilasciata, come avvenuto nella specie, una fideiussione mediante polizza assicurativa, la quale solleva l’appaltatore dal rilevante aggravio di versare all’amministrazione committente considerevoli somme di denaro o titoli.

Da tali disposizioni, nonché da quelle analoghe contenute in altri testi normativi disciplinanti la materia delle concessioni e degli appalti pubblici, la giurisprudenza ha dedotto che la cauzione ha natura di garanzia reale generica, finalizzata ad assistere qualsiasi ragione di credito effettivamente esistente a favore dell’amministrazione (Cassazione civile, sez. III – 20/5/1999 n. 4912): essa dunque garantisce il regolare adempimento delle obbligazioni assunte da parte del contraente ed il corretto svolgimento del rapporto contrattuale (Tar Lombardia Milano, sez. III – 26/7/2002 n. 3236), per cui, ove essa sia prestata ed intervenga l’inadempimento dell’appaltatore, l’amministrazione può soddisfare il proprio credito mediante incameramento, totale o parziale, della cauzione stessa. Tuttavia, in difetto di un’esplicita previsione, essa non può essere ritenuta assimilabile alla clausola penale e non è soggetta quindi, alla disciplina degli artt. 1382, 1383 e 1384 c.c., per cui l’amministrazione non è esonerata dalla prova del pregiudizio effettivamente subito a causa dell’inadempimento dell’altro contraente. La clausola penale costituisce un patto che, rafforzando la posizione creditoria, determina in via preventiva e forfettaria il risarcimento del danno per il ritardo o per l’inadempimento dell’obbligazione, e la sua prestazione è dovuta a prescindere dalla prova della lesione: un esempio di questo tipo, che può essere citato, è quello della prestazione della caparra pari al 2% dell’importo dei lavori di cui all’art. 30 comma 1 L. 11/2/1994 n. 109, la quale è diretta a coprire la mancata sottoscrizione del contratto per fatto proprio dell’aggiudicatario ed ha la medesima funzione della clausola penale, essendo diretta a predeterminare le conseguenze dell’inadempimento in funzione di liquidazione forfettaria del danno, prescindendo dall’esatta portata quantitativa del nocumento patito dalla pubblica amministrazione, tant’è che non viene prevista espressamente la risarcibilità del pregiudizio eventualmente non coperto dalla cauzione in parola (Tar Lazio, sez. III – 29/3/2000 n. 2443). Una tale fattispecie si differenzia, tuttavia, dalla prestazione della cd. cauzione definitiva, che assume la funzione di garantire il corretto e puntuale assolvimento dell’obbligazione. In assenza di una diversa disciplina legislativa ovvero di una specifica pattuizione contrattuale, i suoi effetti non possono essere quelli di predeterminare l’ammontare del danno, ma semplicemente di garantire la posizione del creditore, che deve quindi dimostrare l’avvenuto mancato adempimento nei termini e secondo le modalità prestabilite nonché il pregiudizio prodotto. Del resto, le difficoltà per il creditore sono superate dalle regole sulla responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. che, a differenza delle norme sul torto aquiliano, trasferiscono l’onere della prova dell’imputabilità dell’inadempimento sul debitore: il creditore deve solo dimostrare il danno, il fatto dell’inadempimento ed il nesso causale che li avvince, mentre incombe al debitore provare che “l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.

Nella fattispecie, con l’atto gravato l’amministrazione ha provveduto tout court ad incamerare la cauzione prestata dalla ricorrente, senza dare in alcun modo conto dei criteri impiegati per quantificare il pregiudizio asseritamente patito e dunque trasformando surrettiziamente la fideiussione in una clausola penale, in assenza di disposizioni espresse in tal senso.

In conclusione il motivo è fondato ed il ricorso va dunque accolto limitatamente a questo profilo.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e possono essere liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Sezione staccata di Brescia, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Condanna l’amministrazione resistente a corrispondere alla ricorrente la somma di € 2.300 a titolo spese, competenze ed onorari di difesa.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso, in Brescia, il 1/6/2004, dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia con l’intervento dei Signori:

Francesco MARIUZZO – Presidente

Stefano TENCA – Giudice relatore ed estensore

Gianluca MORRI – Giudice

NUMERO SENTENZA 663 / 2004

DATA PUBBLICAZIONE 18 – 06 – 2004

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Andrea Maso