L’art. 1, c. 4 della legge n. 20/1994 ha attribuito alla Corte dei conti i giudizi di responsabilità amministrativo-contabile degli amministratori e dipendenti pubblici anche quando il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza

La sentenza numero 17 del 6 febbraio 2007, emessa dalla Corte Dei Conti _ Sezione Prima Giurisdizionale Centrale, merita di essere segnalata per alcuni importanti principi in essa contenuti:

<per “fatto dannoso” non può intendersi il fatto-condotta, bensì il fatto evento; ciò in osservanza del principio di effettività e di concretezza del danno risarcibile.

La giurisprudenza prevalente di questa Corte dei conti, infatti, è concorde nel ritenere che il “fatto” è costituito dal binomio condotta-evento e che la fattispecie dannosa si perfeziona con il verificarsi di quest’ultimo.

Ciò significa, con riferimento al termine iniziale di decorrenza della prescrizione della relativa azione di responsabilità, che non può ritenersi sufficiente, a dare inizio al periodo prescrizionale, la semplice condotta trasgressiva di specifici obblighi di servizio, ma occorre anche la verificazione dell’effetto lesivo di detta condotta.

quando il fatto dannoso, nei suoi elementi costitutivi dell’azione -omissione/commissione e dell’effetto lesivo di queste – sono temporalmente ascrivibili a periodi diversi, è solo dal verificarsi dell’evento damni che inizia a decorrere la prescrizione

il ruolo causale non dipende dalla qualifica o dalla natura del soggetto, bensì dalla funzione esplicata e dall’attività effettivamente svolta all’interno dell’organizzazione pubblica.

A cura di Sonia Lazzini

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE DEI CONTI

SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE

Ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sull’appello iscritto al n. 20784 del registro di Segreteria proposto dal sig. Carlo ***, rappresentato e difeso dall’avv. Innocenzo Megali, elettivamente domiciliato in Roma, via Nicola Coviello n. 47 presso la d.ssa Rosa Rauso, avverso la sentenza n. 273/04 del 23.10.2002, emessa dalla Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Veneto.

Visti gli atti e documenti della causa.

Uditi, nella pubblica udienza del 24 novembre 2006, il consigliere relatore, l’avv. Innocenzo Megali per l’appellante nonché il P.M. nella persona del V.P.G. dr. Tommaso Cottone

FATTO

Con sentenza n. 273/04 del 23.10.2002 la Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto ha condannato il sig. *** Mario al pagamento della complessiva somma di Euro 11.353,88 di cui euro 10.741,88 a favore dell’Amministrazione dello Stato, Euro 285 a favore dell’INPS, Euro 327 a favore dell’INAIL, oltre rivalutazione, interessi e spese di giudizio liquidate in Euro 176,52.

Questi i fatti di causa.

Erano stati oggetto di indagine penale fatti intervenuti in occasione degli “esami di abilitazione alla professione di consulente del lavoro, sessione 1996”.

In particolare risultava che il dr. Carlo ***, funzionario dell’Ispettorato provinciale del lavoro di Rovigo, era stato tratto in arresto in flagranza di reato, per aver preteso la somma cumulativa di £. 17.500.000 – subito rinvenuta dalla polizia nella sua vettura – da un candidato in cambio di raccomandazioni per il superamento degli esami sopra citati.

Dopo l’arresto del predetto dipendente, in data 15.1.1996, si era comunque dato corso alle prove scritte, tenute il 20 e 21 novembre 1996, emergendo in quel momento un presunto illecito solo da parte del ***, dipendente incaricato, per l’esame, della sola vigilanza.

Il ***, in sede di spontanee dichiarazioni chiamava, però, in causa, come compartecipi il sig. Iannelli Giuseppe, funzionario dell’Ispettorato Provinciale del Lavoro e il dr. *** Enrico Capo dell’Ispettorato regionale dell’Ufficio del Lavoro e Presidente della Commissione degli esami di abilitazione anno 1996, sostenendo che, a quest’ultimo, tramite Iannelli, sarebbe dovuto pervenire la somma versata dal concusso.

Il Ministero del Lavoro, preso atto che dall’informazione di garanzia alla P.A. sull’azione penale, risultava un procedimento nei confronti del Presidente della commissione d’esame per il reato di concussione, allo scopo di assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa e garantire il corretto svolgimento degli esami, con proprio decreto del 19.2.1997, annullava le prove del 20 e 21 novembre 1996, disponendone la reiterazione per i giorni 27 e 28 marzo 1997 e demandando ad un successivo provvedimento la ricostituzione della commissione d’esame.

Il procedimento penale si concludeva con due sentenze del GIP del Tribunale di Padova: la prima, n. 534 del 30.9.1998, dichiarava “il non luogo a procedere” nei confronti di Giuseppe Iannelli per essere il reato estinto per morte dell’imputato e nei confronti di Enrico *** per non aver commesso il fatto; la seconda, n. 216 del 27.4.1999 condannava il *** Carlo, per i reati di cui agli articoli 317 e 56 c.p., alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed all’interdizione dai pubblici uffici per anni cinque (con concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna).

La Procura Regionale della Sezione Giurisdizionale per il Veneto, ad istruttoria conclusa, citava in giudizio il sig. ***, ritenendo la condotta illecita penalmente rilevante, posta in essere dallo stesso, causa di danno all’Amministrazione per un ammontare di Euro 12.553,00 (di cui euro 11.941 a favore dell’Amministrazione dello Stato, euro 285 a favore dell’INPS ed euro 327 a favore dell’INAIL) corrispondente alle spese sostenute per la ripetizione degli esami, i cui esiti erano stati annullati per illecita turbativa ed inquinamento delle prove scritte da ricollegare alla “condotta fortemente antidoverosa” del ***.

All’atto di citazione l’interessato eccepiva la nullità ed inesistenza dell’atto di citazione, la prescrizione, la violazione del principio di non colpevolezza-violazione dell’art. 653 c.p.p. comma 1 bis, e nel merito chiedeva il rigetto di ogni pretesa risarcitoria in quanto l’aggravio di spesa doveva essere ricondotto esclusivamente alla decisione ministeriale di procedere alla ripetizione delle prove concorsuali.

I primi giudici hanno accolto quasi integralmente le deduzioni fornite da parte attrice alle eccezioni e richieste del convenuto.

Sul piano preliminare di rito, la Sezione giurisdizionale ha ritenuto, però, in parte fondata l’eccezione di prescrizione, come eccepita dal convenuto. Al riguardo il Collegio, richiamata preliminarmente la giurisprudenza di questa Corte in tema di prescrizione, secondo cui, in tema di responsabilità, la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui avviene il pagamento, ha sottolineato:

*** che il pagamento degli oneri per la ripetizione delle prove concorsuale è intervenuto in date comprese tra il 21 marzo ed il 28 novembre 1997

*** e che l’interruzione della prescrizione si è verificata al momento della notifica dell’atto di citazione (21 giugno 2002)

Per quanto detto ha statuito che i pagamenti dannosi anteriori al giugno 1997 per un totale di £. 2.321.870 dovessero ritenersi irripetibili perché coperti da prescrizione.

Non ha accolto, invece, le eccezioni convenute circa l’incongruità della scelta ministeriale di fare ripetere gli esami di stato sottolineando in decisione che

“la determinazione assunta dall’Amministrazione di rinnovare la procedura concorsuale sia causalmente riferibile alla condotta del convenuto il quale – tra l’altro – si era vantato di poter influire sull’esito della prova di esame.

Al convenuto medesimo vanno, pertanto, addebitati gli effetti economicamente pregiudizievoli subiti dall’Amministrazione in conseguenza della decisione assunta.

Il danno può essere quantificato nella misura analiticamente indicata dal requirente, detratta, peraltro, la quota in ordine alla quale ha operato la prescrizione, come in precedenza rilevato da questo giudice.

Al convenuto deve essere, perciò, addebitata, al netto dell’importo predetto, la somma di £. 21.984.186 pari ad Euro 11.353,88”.

Avverso la su indicata sentenza di condanna ha interposto appello il soccombente formulando i seguenti motivi di censura:

1)–violazione di legge, erronea applicazione ed interpretazione dell’art. 1 della legge n. 20/1994 (“il risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso”), sul punto sottolineando che la norma fa riferimento al “fatto dannoso” e non all’ “evento dannoso”, sicché “il dies a quo della prescrizione non corrisponde con il momento in cui sono stati pagati i ratei, dovendosi dare preminente rilievo all’atto che li ha autorizzati”;

2–illegittimità ed erroneità della sentenza per erronea valutazione degli elementi probatori in ordine alla responsabilità – violazione di legge (art. 52 R.D. 12.7.1934). In proposito l’appellante sostiene che la sentenza di condanna penale, essendo stata assoggettata ad impugnazione ed a revisjo, non può considerarsi né definitiva né irrevocabile; che il fatto illecito contestato non può essergli addebitato perché nella vicenda illecita de qua egli non rivestiva alcuna mansione ufficiale: sicché non sussiste quella “necessaria correlazione eziologia fra la qualifica rivestita e la produzione del danno” come più volte affermato dalla Corte di Cassazione in punto di diritto;

3–erronea statuizione sull’esistenza ed ammontare del danno. Ciò nella considerazione che l’aggravio di spese sostenute per la ripetizione delle prove scritte dell’esame di stato per consulenti del lavoro nell’anno 1996, è stato determinato da una scelta arbitraria dell’Amministrazione che si è determinata a detta ripetizione sulla base dell’errato convincimento di un ipotetico coinvolgimento nelle ipotesi di corruzione e/o concussione del presidente della Commissione d’esame, dr. ***, poi assolto in primo grado per non aver commesso il fatto. Ha inoltre sottolineato, in merito alla risarcibilità del danno ad enti diversi dall’Amministrazione di appartenenza, nel caso di specie INPS ed INAIL, che è inconfigurabile la giurisdizione contabile in assenza del presupposto della responsabilità (contrattuale) amministrativo contabile, costituito dal rapporto di impiego e/o di servizio con l’Ente danneggiato.

La Procura Generale nelle conclusioni scritte, depositate il 20.2.2006, ha chiesto il rigetto del gravame così argomentando in relazione ai motivi di censura svolti nell’atto di appello e sopra riassunti nei punti da 1 a 3:

1)–il dies a quo decorre dall’effettivo depauperamento, cioè dal momento in cui il diritto al risarcimento può essere fatto valere, come peraltro prescrive l’art. 2935 c.c. Se si accettasse l’avversa teoria – secondo la quale il tempus commissi damni coincide con il comportamento antigiuridico o con il provvedimento illecito – potrebbe ipotizzarsi paradossalmente una responsabilità ipotetica, prima ancora che il danno (evento) si sia verificato;

2–costituisce dato oggettivo ed incontestabile che il dr. Carlo *** rivestiva all’epoca dei fatti, la qualifica di funzionario dell’Ispettorato provinciale del lavoro ed è parimenti incontrovertibile che in virtù di quella sua qualifica funzionale avesse occasione di assumere la veste di intermediario per negoziare affari vietati dalla legge penale.

Peraltro è noto che nei delitti contro la P.A. l’estraneus subisce lo stesso trattamento penalistico riservato all’intraneus (fattispecie relativa al concorso di persone nei reati propri). Il che dimostra, al di là di ogni ragionevole dubbio, che nella commissione di un fatto illecito il nesso eziologico tra azione, omissione ed evento prescinde dalla formale qualifica del soggetto attivo ed attiene, invece, alla posizione funzionale ricoperta dal medesimo all’interno dell’organizzazione amministrativa

3–Le prospettazioni di parte appellante sono viziate da una intrinseca contraddittorietà: perché da un lato si contesta la scelta amministrativa – del rinnovo delle prove di esame – e dall’altro si afferma che quella scelta, pur appartenendo alla sfera della discrezionalità ex sé insindacabile, si manifesta, altresì, affetta da palese irragionevolezza in suo danno. Ad avviso di parte attrice, infatti, l’appellante sembra dimenticare che è stato proprio il suo comportamento illecito a determinare la decisione del rinnovo degli esami di Stato, siccome turbati da gravissimi atti corruttivi e coartativi. La causa efficiente del danno risarcibile non va, pertanto, ricondotta alla scelta amministrativa di far ripetere le prove scritte – che si reputa comunque giusta e legittima sotto ogni profilo – ma direttamente attribuibile all’inquinamento delle procedure d’esame di Stato ed alla condotta scandalosa ed antigiuridica tenuta dall’appellante.

All’odierna pubblica udienza il difensore dell’appellante ha chiesto l’accoglimento dell’appello, richiamando gli atti scritti e la relativa documentazione.

Il P.M. ha insistito per il rigetto del gravame con riferimento alle motivazioni svolte nelle conclusioni scritte presentate in data 20.2.2006. Ha depositato, inoltre, la sentenza n. 1595 del 6 ottobre 2005 con la quale la Corte d’Appello di Venezia, ritenuta congrua la pena principale irrogata dal GIP del Tribunale di Padova ha accolto il motivo di appello con riferimento alla durata della pena accessoria (“in parziale riforma della sentenza del GIP di Padova in data 27.4.1999, appellata da *** Carlo, riduce la durata della pena accessoria ad un anno e sei mesi”).

DIRITTO

L’eccezione di difetto di giurisdizione della Corte dei conti, per i danni prodotti ad enti diversi dall’Amministrazione di appartenenza, nel caso di specie INPS e INAIL, in assenza del presupposto della responsabilità (contrattuale) amministrativo contabile, deve essere respinta in quanto l’art. 1, c. 4 della legge n. 20/1994 ha attribuito alla Corte dei conti i giudizi di responsabilità amministrativo-contabile degli amministratori e dipendenti pubblici anche quando il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza.

Con riferimento all’eccezione di prescrizione riproposta dal *** in questa sede occorre ribadire, come giustamente rilevato dal giudice di primo grado e come sottolineato dal P.M. nelle conclusioni scritte, confermate nell’odierna pubblica udienza, che per “fatto dannoso” – come enunciato dalla norma positiva – non può intendersi il fatto-condotta, bensì il fatto evento; ciò in osservanza del principio di effettività e di concretezza del danno risarcibile.

La giurisprudenza prevalente di questa Corte dei conti, infatti, è concorde nel ritenere che il “fatto” è costituito dal binomio condotta-evento e che la fattispecie dannosa si perfeziona con il verificarsi di quest’ultimo. Ciò significa, con riferimento al termine iniziale di decorrenza della prescrizione della relativa azione di responsabilità, che non può ritenersi sufficiente, a dare inizio al periodo prescrizionale, la semplice condotta trasgressiva di specifici obblighi di servizio, ma occorre anche la verificazione dell’effetto lesivo di detta condotta.

Insomma quando il fatto dannoso, nei suoi elementi costitutivi dell’azione -omissione/commissione e dell’effetto lesivo di queste – sono temporalmente ascrivibili a periodi diversi, è solo dal verificarsi dell’evento damni che inizia a decorrere la prescrizione. Prima dell’effetto lesivo dunque non vi è interesse ad agire, difettando i requisiti della certezza e della attualità del danno. “Una chiara conferma di ciò si rinviene nell’art. 2935 secondo cui la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, considerando come causa legale ostativa a far valere il diritto la non manifestazione ontologica del danno, quale elemento costitutivo della fattispecie della responsabilità amministrativa, similare, quoad effectum, al concorrere di una condizione sospensiva” (cfr. Sezione Giur. Veneto sentenza n. 355 del 2.5.2006).

Tanto precisato, la condotta posta in essere dal ***, ampiamente descritta nella parte in fatto, non si identifica con il danno azionabile ponendosi, invece, come fatto generatore dell’evento lesivo concretizzatosi con il pagamento delle spese aggiuntive sostenute per la ripetizione delle prove scritte degli esami di abilitazione alla professione di consulente del lavoro, sessione 1996.

Le considerazioni che precedono danno ragione della infondatezza della eccepita prescrizione, che, quindi, va respinta.

Nel merito, poi, l’appello è infondato in quanto gli atti di causa evidenziano chiaramente che il decreto con cui l’Amministrazione ha proceduto al rinnovo delle prove scritte è in stretto collegamento con la condotta illecita ed antidoverosa dell’appellante.

E’ comprovato dagli atti di causa che le illecite locupletazioni del *** sono servite ad alterare il corretto svolgimento delle prove d’esame.

Come sottolineato nella sentenza appellata “la connessione tra comportamento del funzionario e pregiudizio economico, permarrebbe anche qualora volesse ricondursi il pregiudizio in via esclusiva, ad una chiamata di correo in sede di indagini frutto di una ricostruzione non veritiere. Ciò perché anche in una simile ipotesi il danno discenderebbe pur sempre da un comportamento in occasione del servizio, contrario ai doveri del proprio status, nella circostanza doveri di lealtà e correttezza verso l’Amministrazione”.

Appaiono, poi, prive di pregio le considerazioni svolte dall’appellante in riferimento al fatto che l’illecito contestato non può essergli addebitato non rivestendo egli nella vicenda illecita de qua alcuna mansione ufficiale.

Sul punto la giurisprudenza della Cassazione (Sez. VI civ. n. 9927 del 28.9.1995) ha affermato che il ruolo causale non dipende dalla qualifica o dalla natura del soggetto, bensì dalla funzione esplicata e dall’attività effettivamente svolta all’interno dell’organizzazione pubblica.

Al riguardo costituisce dato oggettivo ed incontestabile che il *** all’epoca dei fatti, rivestiva la qualifica di funzionario dell’Ispettorato provinciale del lavoro ed è incontrovertibile che in virtù di quella sua qualifica funzionale abbia potuto ideare e sviluppare l’illecito tentativo di concussione.

Ed è proprio il citato tentativo, riconosciuto nel giudizio penale di primo e secondo grado nonché nella sentenza appellata, sulla base degli atti, a costituire quel presupposto essenziale da cui ha preso avvio tutta la vicenda fino al provvedimento ministeriale di rinnovo degli esami. Presupposto che, nella serie causale, assurge al ruolo di conditio sine qua non del prevedibile evento dannoso finale.

I motivi di gravame relativi all’incongruità e all’irrazionalità della scelta discrezionale amministrativa non possono essere accolti, in quanto, come sottolineato dal P.M., la causa efficiente del danno risarcibile va ricondotta al comportamento antigiuridico del ***; comportamento che viola gli obblighi di servizio ed il principio generale d’imparzialità e di giustizia sostanziale dell’azione amministrativa, lesa gravemente dalle dazioni illecite e dal sospetto di gravi manipolazioni e falsificazioni degli esiti degli esami di stato. Del resto il danno ingiusto addebitato all’appellante è provato proprio dalle sue chiamate in correità e dai relativi accordi fraudolenti che venivano spudoratamente negoziati e che sono rinvenibili agli atti del procedimento penale.

Per le considerazioni che precedono, l’appello va dichiarato infondato e le richieste formule dall’appellante vanno quindi respinte, in quanto prive di fondamento giuridico.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette, respinge l’appello in epigrafe e condanna il sig. *** Carlo alle spese del presente giudizio che si liquidano in Euro352,62 (trecentocinquantadue/62)

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del 24 novembre 2006

L’Estensore Il Presidente

(Maria Fratocchi Quaglini) (Antonio Vetro)

Depositato in segreteria il 06/02/2007

Il Dirigente

F.to Maria Fioramonti

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Andrea Maso