Idoneità ad attestare o ad escludere la colpevolezza dell’amministrazione dimostrando l’errore scusabile: esclusa la correttezza di ogni riferimento, pure in astratto invocabile, al livello culturale ed alle condizioni psicologiche soggettive del funzionario che ha adottato l’atto, risulta, accettabile il criterio della comprensibilità della portata precettiva della disposizione inosservata e della univocità e chiarezza della sua interpretazione, potendosi ammettere l’esenzione da colpa solo in presenza di un quadro normativo confuso e privo di chiarezza; restando, altrimenti, l’amministrazione soggetta all’inevitabile giudizio di colpevolezza nella violazione di un canone di condotta agevolmente percepibile nella sua portata vincolante

In tema di responsabilità extracontrattuale della pubblica amministrazione ex art. 2043 cc, merita di riportare il pensiero espresso dal Consiglio di Stato con la decisione numero 1346 del 20 marzo 2007:

< In tema di responsabilità dell’amministrazione per attività provvedimentale illegittima, la giurisprudenza di questa Sezione , pur dissentendo dalla ricostruzione che ha fatto applicazione dei principi che presiedono alla responsabilità contrattuale per inadempimento al fine di giustificare l’affermazione della presunzione relativa di colpa e l’ascrizione all’amministrazione dell’onere di dimostrare la propria incolpevolezza, ha già precisato come le condivisibili esigenze di semplificazione probatoria sottese a detta impostazione possono essere parimenti soddisfatte restando all’interno dei più sicuri confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, che rivelano una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell’illecito extracontrattuale con i caratteri oggettivi della lesione di interessi legittimi e con le connesse esigenze di tutela, ma utilizzando, per la verifica dell’elemento soggettivo, le presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c.

In tale ottica, il privato danneggiato, ancorchè onerato della dimostrazione della “colpa” dell’amministrazione, risulta agevolato dalla possibilità di offrire al giudice elementi indiziari – acquisibili, sia pure con i connotati normativamente previsti, con maggior facilità delle prove dirette – quali la gravità della violazione, qui valorizzata quale presunzione semplice di colpa e non come criterio di valutazione assoluto, il carattere vincolato dell’azione amministrativa giudicata, l’univocità della normativa di riferimento ed il proprio apporto partecipativo al procedimento.

Così che, acquisiti gli indici rivelatori della colpa, spetta poi all’amministrazione l’allegazione degli elementi, pure indiziari, ascrivibili allo schema dell’errore scusabile e, in definitiva, al giudice, così come, in sostanza, voluto dalla Cassazione con la sentenza n. 500/99, apprezzarne e valutarne liberamente l’idoneità ad attestare o ad escludere la colpevolezza dell’amministrazione.

Appare utile, al riguardo, riferirsi alla giurisprudenza comunitaria (Corte Giustizia C.E., 5 marzo 1996, cause riunite nn.46 e 48 del 1993; 23 maggio 1996, causa C5 del 1994) che, pur assegnando valenza pressoché decisiva alla gravità della violazione, indica, quali parametri valutativi di quel carattere, il grado di chiarezza e precisione della norma violata e la presenza di una giurisprudenza consolidata sulla questione esaminata e definita dall’amministrazione, nonché la novità di quest’ultima, riconoscendo così portata esimente all’errore di diritto, in analogia all’elaborazione della giurisprudenza penale in tema di buona fede nelle contravvenzioni.>

Cosa comporta una siffatta applicazione delle regole della responsabilità civile extracontrattuale alla pubblica amministrazione?

Il Supremo giudice amministrativo, risponde così:

<La ricostruzione appena esposta soddisfa, in particolare, al contempo,

A cura di Sonia LAzzini

REPUBBLICA ITALIANA N. 1346/07 REG.DEC.

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N. 11468 REG:RIC.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO 2004

ha pronunciato la seguente

decisione

Sul ricorso n. 11468/04 R.G. proposto dal Comune di Pesaro, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Maurizio Mancinelli e Andrea Galvani, ed elettivamente domiciliato in Roma, presso lo studio del secondo, Via Salaria, n. 95;

CONTRO

– S.n.c. ** Donatella & C., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Franco Buonassisi e Luciana Colantoni, ed elettivamente domiciliata in Roma, presso , Via G.G: Belli n. 60;

PER LA RIFORMA

della sentenza resa dal T.A.R. per le Marche, n. 779/04, pubblicata in data 28 giugno 2004.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della S.n.c. ** Donatella & C.;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Nominato relatore il Consigliere Michele Corradino;

Uditi alla pubblica udienza del 14.3.2006 gli avvocati Tardella per delega di Galvani e Sanino per delega di Colantoni;come da relativo verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

F A T T O

Con sentenza n. 779 del 28 giugno 2004, il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche accoglieva il ricorso con il quale la S.n.c. ** Donatella & C chiedeva la condanna del Comune di Pesaro al risarcimento dei danni a seguito della sentenza dello stesso T.A.R. del 22 febbraio 1996, n. 22, confermata dal Consiglio di Stato con decisione 7 novembre 2002, n. 6100.

Il Comune appellante contrasta le argomentazioni del giudice di primo grado.

Si è costituita, per resistere all’appello, la S.n.c. ** Donatella & C.

Alla pubblica udienza del 14.3.2006 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione, come da verbale.

D I R I T T O

Il Collegio può prescindere dalla disamina dell’eccezione di inammissibilità dell’appello, proposta dalla società resistente perché l’autorizzazione alla proposizione del gravame è stata conferita al Sindaco con determinazione del dirigente e non della Giunta, in violazione dell’art. 48 del d.lgs. n. 267/2000, in quanto l’appello è comunque infondato nel merito e pertanto non può essere favorevolmente definito.

L’appellante lamenta l’erroneità della decisione impugnata per violazione dei principi in tema di responsabilità della pubblica amministrazione ed in particolare per aver condannato il Comune senza che il ricorrente di primo grado abbia assolto agli oneri probatori derivanti dall’applicazione alla fattispecie dell’art. 2043 c.c., con riguardo alla colpa dell’ente locale, all’ingiustizia del danno, al nesso causale intercorrente tra quest’ultimo e la condotta lesiva, ed alla prova del pregiudizio subito.

La censura è infondata.

In tema di responsabilità dell’amministrazione per attività provvedimentale illegittima, la giurisprudenza di questa Sezione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 10 gennaio 2005, n. 32), pur dissentendo dalla ricostruzione che ha fatto applicazione dei principi che presiedono alla responsabilità contrattuale per inadempimento al fine di giustificare l’affermazione della presunzione relativa di colpa e l’ascrizione all’amministrazione dell’onere di dimostrare la propria incolpevolezza, ha già precisato come le condivisibili esigenze di semplificazione probatoria sottese a detta impostazione possono essere parimenti soddisfatte restando all’interno dei più sicuri confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, che rivelano una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell’illecito extracontrattuale con i caratteri oggettivi della lesione di interessi legittimi e con le connesse esigenze di tutela, ma utilizzando, per la verifica dell’elemento soggettivo, le presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c.

In tale ottica, il privato danneggiato, ancorchè onerato della dimostrazione della “colpa” dell’amministrazione, risulta agevolato dalla possibilità di offrire al giudice elementi indiziari – acquisibili, sia pure con i connotati normativamente previsti, con maggior facilità delle prove dirette – quali la gravità della violazione, qui valorizzata quale presunzione semplice di colpa e non come criterio di valutazione assoluto, il carattere vincolato dell’azione amministrativa giudicata, l’univocità della normativa di riferimento ed il proprio apporto partecipativo al procedimento.

Così che, acquisiti gli indici rivelatori della colpa, spetta poi all’amministrazione l’allegazione degli elementi, pure indiziari, ascrivibili allo schema dell’errore scusabile e, in definitiva, al giudice, così come, in sostanza, voluto dalla Cassazione con la sentenza n. 500/99, apprezzarne e valutarne liberamente l’idoneità ad attestare o ad escludere la colpevolezza dell’amministrazione.

Appare utile, al riguardo, riferirsi alla giurisprudenza comunitaria (Corte Giustizia C.E., 5 marzo 1996, cause riunite nn.46 e 48 del 1993; 23 maggio 1996, causa C5 del 1994) che, pur assegnando valenza pressoché decisiva alla gravità della violazione, indica, quali parametri valutativi di quel carattere, il grado di chiarezza e precisione della norma violata e la presenza di una giurisprudenza consolidata sulla questione esaminata e definita dall’amministrazione, nonché la novità di quest’ultima, riconoscendo così portata esimente all’errore di diritto, in analogia all’elaborazione della giurisprudenza penale in tema di buona fede nelle contravvenzioni.

Esclusa la correttezza di ogni riferimento, pure in astratto invocabile, al livello culturale ed alle condizioni psicologiche soggettive del funzionario che ha adottato l’atto, risulta, in proposito, accettabile il criterio della comprensibilità della portata precettiva della disposizione inosservata e della univocità e chiarezza della sua interpretazione, potendosi ammettere l’esenzione da colpa solo in presenza di un quadro normativo confuso e privo di chiarezza; restando, altrimenti, l’amministrazione soggetta all’inevitabile giudizio di colpevolezza nella violazione di un canone di condotta agevolmente percepibile nella sua portata vincolante.

La ricostruzione appena esposta soddisfa, in particolare, al contempo, le esigenze di superare l’inaccettabile equazione illegittimità dell’atto-“colpa” dell’apparato pubblico, surrettiziamente reintrodotta con la sentenza n. 500/99, di valorizzare gli aspetti obiettivi della condotta antigiuridica dell’amministrazione, di restituire coerenza sistematica alla regola di riparto dell’onere della prova da applicarsi nello schema di responsabilità in questione e, in definitiva, di agevolare le parti nell’adempimento del dovere di dimostrare la colpa, in prima battuta, o la sua mancanza, negli estremi dell’esimente dell’errore scusabile.

Così definiti i caratteri costitutivi della colpa della pubblica amministrazione, risulta agevole rilevare, in ordine alla fattispecie in esame, che sussiste la responsabilità del Comune appellante, in quanto l’evento dannoso in capo alla s.n.c. ** Donatella & C., nei termini lamentati, può dirsi imputabile al comportamento “negligente” e, pertanto, “colposo” della stessa Amministrazione.

A tal riguardo, la colpa è positivamente accertabile, essendo essa riconducibile alla violazione da parte dell’Amministrazione di norme di ordine generale, come quelle riguardanti la motivazione dei pareri e le garanzie partecipative dei controinteressati, il cui rispetto peraltro avrebbe richiesto all’Amministrazione medesima uno sforzo non particolarmente rilevante, nonché al mancato rispetto dell’articolo 2 della legge n. 112 del 1991 e dall’articolo 19, comma 2 del regolamento di esecuzione adottato con D.M. 4 giugno 1993, n. 248, per mancanza dei relativi presupposti.

Peraltro, la condotta colposa dell’ente locale risulta tanto più grave in considerazione del pregresso contenzioso già intervenuto in materia con la società resistente, che aveva ottenuto il riconoscimento giudiziale della propria posizione di controinteressata e due pronunce favorevoli, da parte del T.A.R. per le Marche, con le sentenze n. 186/92 e n. 696/93.

Né l’Amministrazione, da parte sua, ha prodotto alcun apprezzabile elemento riconducibile ad una delle situazioni sopra descritte che autorizzano la configurabilità dell’errore scusabile.

Va, quindi, confermata la correttezza della statuizione appellata, là dove ha riconosciuto gli estremi dell’elemento psicologico della condotta lesiva esaminata, che non può non essere stata causa diretta del danno subito dalla odierna resistente, atteso che l’illegittima presenza, peraltro in posizione più vantaggiosa, di una ulteriore rivendita di fiori e piante nel ristretto spazio antistante il cimitero di Santa Maria delle Fabrecce ha comportato uno sviamento della clientela e quindi un minor guadagno.

Occorre esaminare, a questo punto, i riflessi processuali della dimostrazione e determinazione del pregiudizio risarcibile.

In proposito, l’ascrizione dell’illecito commesso dall’amministrazione nell’esercizio dell’attività provvedimentale allo schema della responsabilità extracontrattuale implica, innanzitutto, che incombe al ricorrente-danneggiato l’onere di dimostrare la misura del pregiudizio patrimoniale subito.

Sul punto, la giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, Ordinanza 5 agosto 2003, n. 4460) ha già precisato che se è vero che va posta a carico dell’interessato la prova del danno subito, posto che di regola gli elementi probatori del pregiudizio sofferto sono nella esclusiva disponibilità del ricorrente, non è condivisibile l’indirizzo secondo cui la domanda risarcitoria può essere accolta solo se sorretta da una congrua dimostrazione del danno conseguente agli effetti propri dell’atto annullato e da una sua puntuale quantificazione.

Tale soluzione, oltre a caricare eccessivamente di contenuto l’onus probandi sussistente in capo al ricorrente, pare difficilmente coniugabile con la previsione di cui all’art. 35, comma 2, del d. lgs. n. 80/98, che ha attribuito al giudice il potere ordinario di fissare i criteri di liquidazione del danno da determinarsi tra le parti in ambito stragiudiziale.

Si tratta di una disposizione che, oltre ad introdurre un nuovo strumento a favore del giudice amministrativo, finisce inevitabilmente per incidere sulla dimensione dell’onere probatorio gravante su chi richiede il ristoro del danno, trattandosi di un istituto al quale il giudice può ricorrere al fine di addivenire alla determinazione della somma che l’amministrazione è tenuta a pagare.

Senza con ciò aderire all’assunto secondo cui l’onere della prova è circoscritto alla sussistenza del pregiudizio subito, non estendendosi alla sua entità, si intende sostenere che può ritenersi assolto l’onere probatorio allorché il ricorrente indichi, a fronte di un danno certo nella sua verificazione, taluni criteri di quantificazione dello stesso.

Ciò è quanto avvenuto nel caso di specie, nel quale la società ricorrente in primo grado ha allegato, in quanto unico elemento documentale a propria disposizione, le dichiarazioni dei redditi presentate nel periodo di interesse, indicative del danno progressivo e continuo subito per lo sviamento della clientela, che hanno indotto il T.A.R. a disporre che il danno sia determinato e proposto dal Comune di Pesaro, individuando contestualmente i criteri ai quali attenersi.

Va, infine, rigettata anche la censura secondo cui il giudice di primo grado avrebbe erroneamente valutato ai fini del danno da risarcire anche il pregiudizio determinato dal provvedimento autorizzativo del 5 novembre 2001, n. 3241, poi annullato in sede di autotutela dal Comune appellante, senza una specifica richiesta in proposito da parte della s.n.c. ** Donatella & C e in assenza di alcuna valutazione in ordine alla sussistenza dei relativi presupposti.

Si rileva, infatti, che il T.A.R. ha correttamente esteso la responsabilità del Comune a tutto il periodo in cui è proseguita l’attività pregiudizievole ai danni della ricorrente di primo grado a causa del comportamento lesivo dell’ente locale, che è stato unitariamente considerato. Invero, la rimozione dell’autorizzazione del 5 novembre 2001, n. 3241, reputata illegittima, è stata compiuta dall’appellante a seguito delle pronunce giudiziali definitive sugli atti precedentemente impugnati.

2. Per quanto considerato, il ricorso in appello va rigettato.

3. Sussistono, comunque, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del secondo grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione V) rigetta l’appello in epigrafe.

Compensa le spese del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 14.3.2006, DEPOSITATA IN SEGRETERIA _ il 20 marzo 2007

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Andrea Maso