Nonostante l’assoluta chiarezza della Legge Merloni e l’ oramai palese (e periodico) pensiero dei giudici , esistono ancora dei testi di polizza non conformi al dettame legislativo: alcune frasi possono trarre in inganno il Rup!

a cura di Sonia Lazzini

Sintesi di Consiglio di Stato – Sezione Quinta – Decisione n. 32 del 10 gennaio 2003

Parole chiave:

appalti di lavori/appalti di servizi – ratio della rinuncia al beneficio della preventiva escussione – azione diretta dell’ente garantito nei confronti del fideiussore – pagamento a semplice richiesta scritta – l’importo è dovuto anche in pendenza di accertamento

Esito del giudizio:

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello di cui in epigrafe lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata accoglie il ricorso di primo grado ed accerta la infondatezza della pretesa del Comune di Melfi al pagamento degli importi richiesti in applicazione dell’art. 3 della legge 47/1985.Respinge la domanda risarcitoria.

Sentenze correlate:

TAR Puglia, Bari, sentenza n. 4443del 15 novembre 2000:

Ed infatti, come puntualmente sottolineato nel provvedimento di esclusione gravato, è previsto nelle “condizioni particolari” che “la società pagherà, ove ricorrano i presupposti … per l’escussione della garanzia, l’importo dovuto dal contraente entro il termine di 15 giorni dalla data di ricezione della richiesta documentata del beneficiario, inviata per conoscenza anche al contraente”.

Né appare scontata, alla stregua di un’interpretazione letterale, la lettura riduttiva, proposta dalla ricorrente, dell’espressione “richiesta documentata” di pagamento, limitata cioè al solo onere di indicare la polizza assicurativa ed il verbale di aggiudicazione. Quello che risulta invece certo è che una siffatta clausola contrattuale è obiettivamente in contrasto con la previsione della lex specialis della gara, di pagamento a semplice richiesta scritta, oltre che con l’art. 30, comma 2 bis, della legge 11/2/1994, n. 109

Le considerazioni che precedono consentono di evidenziare la difformità della polizza fideiussoria, allegata all’offerta., rispetto al bando di gara ed alla normativa vigente

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TAR Sicilia, sentenza n. 326 del 24 gennaio 2001

“… che la clausola di pagamento “a semplice richiesta” inserita in un contratto di assicurazione fideiussoria vale a qualificarlo come contratto autonomo di garanzia con la conseguente inapplicabilità a tale fattispecie negoziale della disciplina legale tipica della fideiussione (Cassazione civile, sez. III, 6 aprile 1998, n. 3552)

che l’assicurazione fideiussoria o cauzionale, nella quale è inserita la clausola di pagamento a semplice richiesta del creditore, derogando alla regola dell’art. 1945 c.c., preclude al fideiussore l’opponibilità delle eccezioni che potrebbero essere sollevate dal debitore principale e assicura, per tale via, al creditore garantito una disponibilità di denaro immediato con effetti analoghi a quelli del deposito cauzionale. Essa, quindi, dà luogo ad una obbligazione diretta ed autonoma dell’assicuratore nei confronti del beneficiario ed una responsabilità dello stesso assicuratore per il puntuale adempimento di tale obbligazione, anche nei confronti del debitore principale (Cassazione civile, sez. III, 4 aprile 1995, n. 3940);

che al contratto cosiddetto di assicurazione fideiussoria (o cauzione fideiussoria o assicurazione cauzionale), caratterizzato dall’assunzione di un impegno, da parte di una banca o di una compagnia di assicurazioni, di pagare un determinato importo al beneficiario, onde garantirlo nel caso di inadempimento della prestazione a lui dovuta da un terzo, sono applicabili le disposizione della fideiussione, salvo che sia stato diversamente disposto dalle parti. E rispetto alla disciplina della fideiussione, riveste carattere derogatorio la clausola con la quale venga espressamente prevista la possibilità, per il creditore garantito, di esigere dal garante il pagamento immediato del credito “a semplice richiesta” o “senza eccezioni”. In tal caso, in deroga all’art. 1945, è preclusa al fideiussore l’opponibilità delle eccezioni che potrebbero essere sollevate dal debitore principale, restando in ogni caso consentito al garante di opporre al beneficiario l’”exceptio doli”, nel caso in cui la richiesta di pagamento immediato risulti “prima facie” abusiva o fraudolenta (Cassazione civile sez. III, 6 aprile 1998, n. 3552) (…).”.

TAR Lazio, Roma, sentenza n. 3971del 7 maggio 2002:

Rileva, al riguardo, il Collegio che la formulazione della clausola contenente la locuzione “a semplice richiesta scritta” della stazione appaltante, è prescritta espressamente dall’art.30, comma 2-bis della legge 11 febbraio 1994, n.109 (c.d. Merloni-ter) -introdotto dall’art.9, comma 55 della legge 18 novembre 1998, n. 415- nonchè dalla lettera d’invito alla licitazione privata (punto 8, comma 6, pag.5).

La circostanza che detta espressione sia tassativamente richiesta dalla normativa di riferimento e dalla lex specialis della gara, comporta che la clausola, nell’indicata formulazione, costituisce elemento indefettibile ed assume, a garanzia della regolarità della procedura concorsuale e della par condicio dei concorrenti, valore sostanziale ed essenziale, con la conseguenza che non possono ritenersi ammissibili formule equipollenti e che la sua omissione si traduce in una mancanza non suscettibile di regolarizzazione, bensì passibile di esclusione dal novero dei partecipanti.

Osserva, d’altra parte, il Collegio che il richiamo nella polizza fideiussoria dell’art.4 delle condizioni generali di contratto non vale, comunque, a costituire l’equipollente della clausola pretermessa o inesattamente formulata, giacchè, come testualmente riferito dalla stessa ricorrente, nella cauzione la Società garante si impegnava al pagamento delle somme dovute “entro il termine massimo di trenta giorni dal ricevimento della richiesta scritta dell’Ente Garantito”, oltrechè alla rinuncia al beneficio della preventiva escussione della ditta obbligata

Tar Friuli Venezia Giulia, Trieste, sentenza n. 104 del 22 marzo 2003

“(…) quanto all’atto di fideiussione – quale cauzione definitiva – emesso dalla Compagnia **** s.p.a. di Roma, occorreva produrre – in alternativa ad una fideussione bancaria o ad una polizza assicurativa – la apposita autorizzazione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica prevista dall’art. 145, punto 50 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 per gli intermediari finanziari(tale è la ****) che svolgono in via esclusiva o prevalente attività di rilascio di garanzie(ancorché la suddetta società risultasse iscritta nell’elenco speciale di cui all’art. 107 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385); l’ atto in parola, poi, non recava delle indicazioni essenziali, segnatamente per quello che concerneva il suo oggetto, la sua validità – che doveva protrarsi sino all’emissione del certificato di collaudo provvisorio – nonché la previsione della sua operatività “entro 15 giorni a semplice richiesta scritta della stazione appaltante” e non “….entro 15 giorni dalla denuncia di inadempimento”, come precisato nell’atto stesso.

La fideiussione presentata dalla ricorrente, invece, all’art. 4 delle “condizioni generali di fideiussione” prevedeva che la richiesta dell’ente doveva essere fatta entro 15 giorni dalla ricezione della denuncia di inadempimento avanzata dall’ente medesimo: come si vede, trattasi di formulazione del tutto diversa da quella stabilita dall’ l’art. 30, comma 2-bis della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (…)”

Conseguenze operative:

Qualora una fideiussione espressamente PREVEDA la rinuncia al “beneficium excussionis” ed inoltre l’obbligo del fideiussore di versare all’ Ente beneficiario quanto richiesto in termini brevi previo un semplice avviso al garantito e senza il riconoscimento al garantito di alcuna facoltà di svolgere eccezioni sul pagamento, allora si tratta di una obbligazione di garanzia del tutto autonoma rispetto al rapporto creditore – debitore principale

Quindi………

Sulla base di tali presupposti di fatto al beneficiario sarebbe stata sufficiente la semplice richiesta al fideiussore – iniziativa non gravosa né esposta a rischi di sorta – per conseguire il pagamento di quanto dovuto anche in pendenza del giudizio nel quale si stava accertando la doverosità della corresponsione degli oneri di cui trattasi.

Inoltre il pagamento da parte del fideiussore degli oneri dovuti se soddisfa il creditore non libera il soggetto garantito nel rapporto interno con il garante e determina effetti contrattuali ben precisi voluti dalle parti secondo cui, di norma, il garantito deve poi rifondere il garante di quanto egli abbia versato in sua sostituzione. In ogni caso, non sussiste alcun apprezzabile interesse pubblico a limitare la autonomia delle parti del contratto di fideiussione a convenire un regolamento di interessi che consenta, secondo la causa tipica di tale contratto, una più sicura soddisfazione della posizione creditoria dell’Ente garantito.

Ulteriori osservazioni:

Come non deve essere un testo di polizza

Alcuni articoli di polizza relativamente all’ Escussione della Garanzia prevedono delle condizioni nettamente in contrasto con il dettame del legislatore e con il parere della giurisprudenza.

Il Garante pagherà l’importo dovuto dal Contraente entro il termine di 15 giorni dal ricevimento della semplice richiesta scritta della Stazione appaltante inviata per conoscenza anche al Contraente, motivata con la ricorrenza dei presupposti per l’escussione della garanzia.

… oppure …

Il Garante pagherà l’importo dovuto dal Contraente entro il termine di 15 giorni dal ricevimento della semplice richiesta scritta della Stazione appaltante inviata per conoscenza anche al Contraente, contenente tutti gli elementi utili in suo possesso per l’escussione della garanzia.

…ma insomma….

Il risarcimento delle eventuali perdite subite dal Beneficiario a causa dell’inadempimento ad obbligazioni contrattuali a carico del contraente sarà effettuato dalla Società entro 15 giorni dal ricevimento della richiesta scritta e documentata del Beneficiario, comprovante la effettiva e definitiva inadempienza del Contraente,

……. Ancora ……..

il pagamento verrà effettuato entro 15 giorni a semplice richiesta scritta della stazione appaltante a far data dalla DENUNCIA DI INADEMPIMENTO

Persino il giudice contabile ritiene che:

Corte Dei Conti Sezione Giurisdizionale Regionale Per L’emilia-romagna Sent.1762/02/r del 1 luglio 2002 , mancato incameramento e inesistenza di iniziative per l’omesso mancato versamento della intera cauzione pattuita

Al riguardo giova innanzi tutto ricordare che la possibilità, prevista dal Legislatore nell’interesse delle imprese appaltatrici, di prestare cauzioni definitive mediante polizze cauzionali, non riduce l’area dei diritti dell’Amministrazione per l’ipotesi di rescissione d’ufficio dei contratti per inadempimento degli aggiudicatari: la Suprema Corte ha avuto occasione di affermare che la disposizione dell’art. 13 della legge 3 gennaio 1978, n.1, che – per la costituzione di una cauzione a garanzia di obbligazioni verso lo Stato o altri enti pubblici – ammette anche, in luogo della fideiussione bancaria, le polizze cauzionali rilasciate da imprese di assicurazione autorizzate all’esercizio del ramo cauzioni, non impone un particolare tipo di polizza e non esclude, quindi, la possibilità che questa sia caratterizzata dalla presenza di una clausola di pagamento a semplice richiesta, che assicura al creditore garantito una disponibilità immediata di denaro con effetti analoghi a quelli del deposito cauzionale (cfr. Cass. civ., Sez. III, 4 aprile 1995, n. 3940).

Nel caso di specie era in effetti prevista, nelle condizioni generali delle polizze che assistevano i tre contratti conclusi e poi rescissi d’ufficio, la clausola del pagamento “a semplice richiesta” (soltanto nella polizza della *** si richiedeva, come ulteriore requisito, l’allegazione della documentazione probatoria dell’inadempimento).

Non possono, quindi, sussistere dubbi sul potere-dovere dell’Ufficio di procedere immediatamente all’incameramento delle cauzioni così prestate: il fatto che a ciò non si sia proceduto – determinando un ritardo di quasi quattro anni nel recupero di quanto spettante all’Amministrazione – non può non essere addebitato alla grave negligenza dei funzionari su cui incombeva l’obbligo di provvedere o di vigilare in merito

Di Sonia LAZZINI

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO 1999

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

Sul ricorso in appello n. 7473/1999 proposto da ***** s.p.a. in persona del legale rappresentante rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Minieri ed elettivamente domiciliato in Roma presso la Segreteria della Sezione;

CONTRO

Il Comune di Melfi in persona del Sindaco in carica rappresentato e difeso dall’avv. Donatello Genovese ed elettivamente domiciliato in Roma presso lo studio dell’avv. Filippo Lattanzi in via Pierluigi da Palestrina n. 47;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata n. 156/1999;

Visto il ricorso con i relativi allegati ;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Melfi;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

data per letta alla pubblica udienza del 29 ottobre 2002 la relazione del Consigliere dottor Goffredo Zaccardi e uditi, altresì, gli avvocati delle parti come da verbale di udienza; Ritenuto in fatto e diritto quanto segue :

FATTO

Con l’appello qui in esame la Società appellante impugna la sentenza indicata in epigrafe nella parte in cui ha respinto il ricorso proposto in primo grado per ottenere l’accertamento della infondatezza della pretesa del Comune di Melfi al pagamento da parte dell’appellante di quanto dovuto ai sensi dell’articolo 3 della legge 47/1985 per il ritardato versamento dei contributi di urbanizzazione da essa dovuti in relazione al rilascio in suo favore di una concessione edilizia per la realizzazione di un impianto industriale nell’area industriale di Melfi. La sentenza ha, inoltre, accolto il motivo di incompetenza degli organi di governo dell’Ente ad adottare le determinazioni in ordine all’applicazione delle sanzioni in materia edilizia ma tale capo della sentenza non è stato sottoposto a gravame. Comunque dall’eventuale accoglimento della tesi di parte appellante, di accertamento della infondatezza della richiesta dei maggiori oneri a tenore dell’art. 3 della legge 47/1985, deriva la piena soddisfazione della pretesa azionata dell’appellante vertendosi in materia di giurisdizione esclusiva.

L’appellante deduce, in sintesi, le seguenti censure articolate in un unico motivo: a) i maggiori importi conseguenti all’applicazione dell’art. 3 della legge 47/1985 non sarebbero dovuti in quanto il Comune di Melfi non ha costituito in mora l’appellante, né ha richiesto il pagamento dei contributi ammessi a rateizzazione e non corrisposti al momento del rilascio della concessione edilizia, né ha escusso la fideiussione prestata con rinuncia espressa al “beneficium excussionis” a garanzia del pagamento degli importi rateizzati. Da tale comportamento deriverebbe la violazione dell’obbligo del creditore di agire secondo correttezza e buona fede, sancito dall’art. 1175 del codice civile e da altre disposizioni che richiamano nell’attuazione dei rapporti obbligatori il principio di buona fede, obbligo che impone di svolgere tutte quelle attività che il creditore può compiere agevolmente ed idonee a rendere meno gravosa la posizione del debitore ai fini dell’adempimento dell’obbligazione. Sarebbe, pertanto, imputabile al Comune intimato il maggior onere dovuto in esito all’applicazione dell’art. 3 della legge 47/1985; b) il Comune avrebbe indotto la Società appellante a non corrispondere alle scadenze stabilite gli importi dovuti per gli oneri di urbanizzazione manifestando, con varie comunicazioni, perplessità e dubbi sulla doverosità della corresponsione degli stessi da parte dell’appellante; c) la richiesta degli interessi legali sui ratei versati tardivamente avanzata dal Comune di Melfi e soddisfatta dall’appellante comporterebbe l’implicito riconoscimento della inapplicabilità del regime di cui all’art. 3 della legge 47/1985;d) in via subordinata si dovrebbe riconoscere la deduzione dagli importi pretesi dal Comune in applicazione della norma citata di quanto versato a titolo di interessi.

Il Comune di Melfi si è costituito confutando le tesi difensive dell’appellante e chiedendo la reiezione dell’appello.

DIRITTO

L’appello è, ad avviso Collegio, meritevole di accoglimento.

Appare fondata, ed assorbente di ogni altra considerazione di merito, la censura svolta nella prima parte dell’unico articolato motivo di ricorso con cui parte appellante ha dedotto la violazione da parte del Comune di Melfi dei basilari doveri di correttezza cui è tenuto il creditore per rendere meno gravosa la posizione del debitore nell’adempiere all’obbligazione. E’ utile precisare in punto di fatto che la Società appellante, per il rilascio di una concessione edilizia per la realizzazione di un impianto industriale, ha corrisposto la metà del contributo dovuto per oneri di urbanizzazione immediatamente mentre la parte residua è stata rateizzata in più rate da versare nei successivi due anni (dal settembre 1991 al settembre 1993). Fin dall’inizio la Società attuale appellante ha contestato la doverosità dei versamenti ritenendo che l’opificio dovesse essere realizzato secondo lo speciale regime di esenzione stabilito dalle leggi sul Mezzogiorno e lo stesso Comune con vari atti (cfr. la produzione in atti della difesa dall’appellante in allegato al ricorso di primo grado) ha manifestato perplessità sulla specifica questione. All’esito di un giudizio articolato in due fasi, primo e secondo grado, il Consiglio di Stato ha, invece, affermato la legittimità della pretesa e la Società appellante ha provveduto a corrispondere quanto dovuto ed, inoltre, a richiesta del Comune di Melfi, gli interessi per il ritardo nel pagamento della quota di oneri che era stata rateizzata. Si controverte nel presente giudizio della applicazione dell’art. 3 della legge 47/1985 che prevede, in relazione al ritardo nel pagamento dei contributi o delle singole rate, un aumento percentuale di quanto dovuto (20%, 50% e 100% a seconda che il pagamento intervenga nei 120, 180 e 240 giorni successivi alla scadenza). E’ necessario ancora puntualizzare che fin dal momento del rilascio della concessione la Società appellante ha consegnato al Comune di Melfi una fideiussione in cui espressamente era prevista la rinuncia al “beneficium excussionis” ed inoltre l’obbligo del fideiussore di versare al Comune quanto richiesto in termini brevi previo un semplice avviso al garantito e senza il riconoscimento al garantito di alcuna facoltà di svolgere eccezioni sul pagamento. Si trattava, quindi, di una obbligazione di garanzia del tutto autonoma rispetto al rapporto creditore – debitore principale. Sulla base di tali presupposti di fatto al Comune sarebbe stata sufficiente la semplice richiesta al fideiussore – iniziativa non gravosa né esposta a rischi di sorta – per conseguire il pagamento di quanto dovuto anche in pendenza del giudizio nel quale si stava accertando la doverosità della corresponsione degli oneri di cui trattasi. Con tale iniziativa il Comune avrebbe evitato un consistente aggravamento della posizione debitoria della Società appellante conseguendo tempestivamente le risorse necessarie per far fronte agli oneri derivanti dalla realizzazione delle opere di urbanizzazione a carico dell’Amministrazione comunale. Deve, pertanto, imputare a questa sua inerzia ed al suo comportamento, dopo due note (risalenti all’inizio del 1993) in cui manifestava dubbi sull’obbligo di corrispondere i contributi in questione non ha attivato alcuna iniziativa per ottenere quanto era previsto nelle concessioni edilizie né dall’obbligato principale né dal fideiussore. Tale comportamento poteva essere ben letto da parte della Società appellante, secondo buona fede, come significativo della volontà di non procedere nella pretesa di applicare l’art. 3 della legge 47/1985 in attesa della decisione del Consiglio di Stato cui si è fatto cenno. Ciò, in particolare, perché nella concessione edilizia si era fatta esplicitamente salva l’applicazione di tale norma e l’inerzia di cui si è detto assumeva un valore inequivoco nel senso di rinunciare almeno temporaneamente alla clausola suddetta .Ritenere di potersi avvalere del disposto dell’art .3 della legge 47/1985 a distanza di tempo ed in presenza delle circostanze di fatto qui sinteticamente ricordate non è, oggettivamente, corrispondente ad un comportamento secondo buona fede. Si concreta in base alle considerazioni che precedono la violazione del dovere di correttezza di cui all’art. 1175 del codice civile e si mostra la fondatezza della censura qui esaminata anche con riguardo al richiamo effettuato nell’atto introduttivo di questa fase del giudizio all’art. 1227, secondo comma ,del codice civile che pone a carico del creditore i danni che avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.

E’ utile ancora chiarire che non sono convincenti gli argomenti addotti dal giudice di primo grado per sostenere che nessun obbligo specifico incombeva sul Comune di Melfi perché trattandosi di obbligazione “ portable” doveva essere adempiuta al domicilio del creditore (art. 1182 del codice civile) e che per tali obbligazioni non è necessaria la costituzione in mora del debitore quando essendo stabilito un termine lo stesso è scaduto inutilmente(art. 1219 del codice civile). Il dovere di agire secondo correttezza e buona fede non è assolto solo con il compimento di atti previsti in specifiche disposizioni di legge ma si deve realizzare anche con comportamenti non individuati dal legislatore ma che in relazione alle singole situazioni di fatto siano necessari per evitare l’aggravamento della posizione del debitore (Cass. 5 novembre 1999 n. 12310). Non è perciò sufficiente sostenere, così come ha fatto il primo giudice, che nessun obbligo normativamente previsto era posto a carico del creditore nel caso di specie, ma si deve indagare se nell’esercizio dell’obbligo di cooperare con il debitore per il puntuale adempimento dell’obbligazione il creditore non abbia omesso atti e comportamenti che, senza essere particolarmente disagevoli, potevano tuttavia rendere meno gravosa la posizione del debitore. L’indagine, come si è visto sub A) porta a concludere che nel caso in esame il Comune di Melfi non ha fatto quanto era possibile e necessario per evitare il prodursi di danni ulteriori per la Società appellante. In proposito si deve aggiungere che il comportamento complessivo delle parti secondo buona fede costituisce una fonte di integrazione degli obblighi delle parti stesse (Cass. 8 febbraio 1999 n. 1078) e che con riguardo al caso di specie l’atteggiamento del Comune di Melfi ha oggettivamente introdotto un elemento di incertezza e di attesa che ha concorso a determinare il mancato pagamento alle scadenze stabilite da parte della Società appellante delle rate del contributo per oneri di urbanizzazione.

Non è necessario approfondire in questa sede la natura (sanzionatoria o risarcitoria) della obbligazione nascente dall’applicazione dell’art. 3 della legge 47/1985: è pacifico che si tratti di una obbligazione “ex lege” alla quale si rendono applicabili tutte le disposizioni di principio in materia di obbligazioni e tanto basta, come si è visto, per la definizione della controversia.

Nessun valore ha, poi, il richiamo alla automaticità della applicazione dell’art. 3 della legge 47/1985: una volta che si sia accertato che non vi è stato inadempimento imputabile all’obbligato l’art. 3 in questione non è applicabile “tout-court”. Inconferent i sono, altresì, i richiami contenuti nella sentenza appellata al regime delle obbligazioni tributarie che corrispondono, come è noto, a principi propri ed esclusivi del regime fiscale, tipicamente a fattispecie esclusiva, validi solo nell’ambito del regime stesso. Nè, infine, ha pregio, sostenere che imponendo al creditore nel caso di specie l’obbligo di escutere il fideiussore si eluderebbe l’obiettivo della legge e si vanificherebbe l’apparato sanzionatorio del citato art. 3 della legge 47/1985. E’ evidente, infatti, che il pagamento da parte del fideiussore degli oneri dovuti se soddisfa il Comune creditore non libera il soggetto garantito nel rapporto interno con il garante e determina effetti contrattuali ben precisi voluti dalle parti secondo cui, di norma, il garantito deve poi rifondere il garante di quanto egli abbia versato in sua sostituzione. In ogni caso, non sussiste alcun apprezzabile interesse pubblico a limitare la autonomia delle parti del contratto di fideiussione a convenire un regolamento di interessi che consenta, secondo la causa tipica di tale contratto, una più sicura soddisfazione della posizione creditoria del Comune.

Alla stregua delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene di aderire e confermare il precedente indirizzo della Sezione manifestato con sentenza n. 1001/1995 ritenendo superata la decisione n. 1001/1995 cui si richiama parte appellata a sostegno delle sue ragioni.

L’appello indicato in epigrafe è accolto con riforma della sentenza appellata ed accertamento della infondatezza della pretesa del Comune di Melfi a pretendere la corresponsione dei contributi richiesti a tenore dell’art. 3 della legge 47/1985. Sussistono, tuttavia, motivi per la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello di cui in epigrafe lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata accoglie il ricorso di primo grado ed accerta la infondatezza della pretesa del Comune di Melfi al pagamento degli importi richiesti in applicazione dell’art. 3 della legge 47/1985.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso, addì 29 ottobre 2002, in camera di DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 10 gennaio 2003

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Andrea Maso