La cauzione provvisoria copre le false dichiarazioni rese in sede di partecipazione alla procedura

Con l’introduzione del comma 1 quater dell’art. 10 della L. n. 109 del 1994 (ora art. 48 del decreto legislativo 163/2006) , la previsione relativa all’incameramento della cauzione provvisoria è stata estesa anche ai partecipanti diversi dall’aggiudicatario assumendo in tal modo una funzione di garanzia, non più in riferimento alla stipula del contratto, sebbene alla serietà ed affidabilità dell’offerta

Il Tar Basilicata – Sentenza 12 marzo 2001 n. 157 – asserisce che “la sanzione dell’incameramento della cauzione provvisoria è quindi correlata, nelle intenzioni del Legislatore, alla violazione dell’obbligo di diligenza –che si consuma anche con l’erronea interpretazione di norme della legge di gara- nelle trattative precontrattuali, che grava su ciascun concorrente sin dalla fase di partecipazione alla gara e di presentazione dell’offerta” da cui si deduce la possibilità di escussione della polizza provvisoria per sopravvenute cause di esclusione fino al momento della sottoscrizione del contratto di appalto.Dopo tale atto, senza soluzione di continuità, la stazione appaltante viene a essere garantita dalla polizza definitiva.

A cura di Sonia LAZZINI

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per l’annullamento, previa sospensiva

a) del provvedimento di esclusione della ditta ricorrente dalla gara per l’appalto dei lavori di adeguamento dell’impianto di depurazione a servizio dell’abitato di Rionero, assunto dalla commissione di gara nel verbale di gara n. 2 del 3.5.2000 e comunicato con nota del responsabile del servizio ll.pp. comunale 15.6.2000 prot. n. 8966;

– della nota del responsabile del servizio ll.pp. comunale 20.6.2000 prot. n. 9169, con la quale la ******* s.p.a., in qualità di fideiubente, è stata escussa per il pagamento della somma di £. 9.538.549, dovuta a titolo di cauzione connessa alla polizza fideiussoria n. 108648 del 7.4.2000;

– della nota del responsabile del servizio ll.pp. comunale 20.6.2000 prot. n. 9171, con la quale la stazione appaltante ha proceduto, ai sensi dell’art. 10 comma 1 quater della L. 109/94 alla segnalazione all’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici dell’esclusione comminata ai danni dell’impresa *******;

– ove occorra, dell’aggiudicazione provvisoria disposta, a seguito dell’esclusione della ditta *******, in favore della s.n.c. ******* con il menzionato verbale di gara n. 2 del 3.5.2000 e confermata con il verbale n. 3 del 1°.6.2000, nonché del successivo provvedimento di aggiudicazione definitiva, di data e numero non conosciuti.

(omissis)

FATTO

1. Con provvedimento 14.3.2000 prot. n. 4003, l’Amministrazione comunale di Rionero bandiva pubblico incanto per l’appalto degli interventi di adeguamento dell’impianto di depurazione a servizio dell’abitato di Rionero in Vulture.

Alla gara partecipava anche la ditta individuale ******* che, a norma dell’art. 10 comma 1 quater della L. n. 109 del 1994, era sorteggiata tra le imprese tenute a comprovare il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa prescritti per la partecipazione alla gara.

La suddetta ditta inviava pertanto la documentazione richiesta, ma la commissione di gara, nel corso della seduta del 3.5.2000, ne disponeva l’esclusione dalla gara “…in quanto dalla documentazione prodotta risulta che la stessa, nel quinquennio antecedente alla data della gara di che trattasi, ha eseguito lavori appartenenti alla categoria 0S22 di cui all’allegato del D.P.R. N° 34/2000 in misura inferiore al 40% di quello da affidare, e pertanto la suddetta ditta non è in possesso dei requisiti di cui alla lettera b) del punto “REQUISITI PER LA PARTECIPAZIONE” richiesti nel bando di gara. Viene, inoltre, stabilito che nei confronti della suindicata ditta si dovrà dare corso alle procedure per la escussione della cauzione provvisoria e per la segnalazione del fatto all’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici per l’applicazione dei provvedimenti sanzionatori previsti dalla legge“.

Nella stessa seduta la commissione di gara, escluse le offerte anomale con il ricorso al criterio del c.d. “taglio delle ali”, aggiudicava provvisoriamente l’appalto alla s.n.c. *******.

Con nota 15.6.2000 prot. n. 8966 il responsabile del servizio ll.pp. comunale comunicava l’esclusione dalla gara all’impresa *******, rappresentando che si sarebbe proceduto alla escussione della cauzione allegata all’offerta ed alla segnalazione all’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici.

Adempimenti eseguiti con note entrambe in data 20.6.2000, rispettivamente prot. n. 9169 (afferente l’escussione della cauzione) e prot. n. 9171 (relativa alla segnalazione all’Autorità).

2. Avverso il provvedimento di esclusione dalla gara, impugnato unitamente alle successive determinazioni di escussione della cauzione provvisoria e di segnalazione all’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, insorge l’impresa ******* proponendo ricorso notificato il 29 giugno 2000 e in pari data depositato.

Deduce, a sostegno della impugnativa, i seguenti motivi:

A) Eccesso di potere (errore nei presupposti, difetto di motivazione). Violazione art. 3 L. 7.8.1990 n. 241. Violazione dei principi generali in tema di interpretazione delle clausole del bando di gara.

Il bando di gara enumerava, tra i requisiti richiesti per la partecipazione alla procedura concorsuale, “.. l’esecuzione, nell’ultimo quinquennio, di lavori appartenenti alla categoria 0S22 di cui all’allegato A del D.P.R. N° 34/2000 non inferiore al 40% di quello da affidare

La ditta ricorrente avrebbe inteso detta espressione nel senso che l’aliquota del 40% fosse da rapportarsi all’importo del lavoro di categoria prevalente (che sarebbe pari a £. 240.634.914).

L’interpretazione data dall’impresa ricorrente alla clausola in questione sarebbe invero congruente con il sistema introdotto dal D.P.R. n. 34/2000, e segnatamente con le previsioni contenute negli artt. 18 e 31.

La commissione di gara avrebbe invece manifestato un diverso avviso, in quanto dal verbale del 3.5.2000 emergerebbe, seppur per implicito, che l’organo preposto alla valutazione delle offerte avrebbe ritenuto che l’importo dei lavori della categoria prevalente eseguiti nel quinquennio andasse rapportato in percentuale (non inferiore al 40%) all’importo complessivo dei lavori, ossia a quello posto a base d’asta (pari a £. 466.880.454), e non già agli importi afferenti il solo lavoro di categoria prevalente.

L’inespresso assunto della commissione si rivelerebbe però del tutto apodittico.

Invero, a fronte di una clausola asseritamente non chiara, l’organo di gara avrebbe dovuto esternare un minimo di motivazione e di ragionamento che desse conto del perché la disposizione del bando andasse letta in modo diverso da quello che l’impresa ricorrente assume di aver fatto proprio.

Peraltro, nel caso di specie la clausola in questione si presterebbe ad una duplice interpretazione (quella che la ricorrente assume di aver dato, e quella in base alla quale la commissione di gara ha adottato l’impugnato provvedimento di esclusione).

Con la conseguenza che il contestato provvedimento di esclusione si porrebbe altresì in contrasto con i principi ermeneutici in sede di gara, i quali impongono che, a fronte di possibili diverse interpretazioni del bando, vada preferita quella che consente una più ampia platea di concorrenti: nel caso di specie, quella che avrebbe condotto alla partecipazione alla gara dell’impresa ricorrente.

B) Violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 1 quater L. 11.2.1994 n. 109. Violazione dei principi generali sull’elemento psicologico in tema di applicazione delle sanzioni.

Si sostiene che, nel caso di specie, non sussisterebbero i presupposti per l’applicazione della norma indicata in epigrafe.

Infatti, se anche concettualmente potesse ammettersi che, dopo aver privilegiato una certa interpretazione della clausola anziché un’altra, ed aver constatato la mancanza del requisito (assunto come) prescritto dal bando in capo all’impresa sottoposta a verifica, tanto possa comunque condurre alla esclusione della medesima ditta, altrettanto non sarebbe a dirsi per l’ulteriore misura dell’escussione della cauzione.

L’applicazione di una sanzione così grave non potrebbe infatti prescindere dall’indagine sull’elemento soggettivo o psicologico che dir si voglia, ossia sulla coscienza e volontarietà di rendere dichiarazioni difformi dal vero su stati personali giuridicamente rilevanti.

Nel caso in esame la documentazione prodotta non avrebbe sconfessato la dichiarazione resa dalla ditta ricorrente in sede di presentazione dell’offerta, avendo appunto la concorrente inteso rapportare la percentuale prevista dalla clausola del bando non già all’importo totale dei lavori, ma all’importo della categoria prevalente.

Sicché nel comportamento tenuto dall’impresa non sarebbe ravvisabile alcun elemento che conduca a ritenere che la stessa abbia voluto turbare il buon andamento di una gara, dichiarando falsamente e coscientemente il possesso di un requisito di cu difettava.

Pertanto, la circostanza che la documentazione prodotta sarebbe congruente con la dichiarazione resa, la mancanza di volontarietà, l’assenza di un minimo di indagine sull’elemento psicologico, renderebbero palesemente illegittima la determinazione di escussione della cauzione.

C) Violazione artt. 7 e ss. L. 7.8.1990, n. 241. Violazione art. 21 D.L.vo 19.12.1991 n. 406. Violazione dei principi in materia di giusto procedimento.

La determinazione di escussione della cauzione non avrebbe potuto legittimamente essere adottata se non previa attivazione delle formalità garantiste di cui alla legge sul procedimento amministrativo.

Se non proprio alla comunicazione dell’avvio del procedimento, l’Amministrazione avrebbe potuto quanto meno ricorrere ai più snelli procedimenti partecipativi disciplinati dall’art. 21 del D.L.vo n. 406 del 1991 che, proprio in tema di requisiti di partecipazione, consente alla P.A. di invitare i concorrenti a chiarire le dichiarazioni prodotte.

D) Illegittimità in via derivata.

I supposti vizi inficianti il provvedimento di esclusione determinerebbero l’invalidità, in via derivata, dell’aggiudicazione provvisoria in favore della controinteressata, disposta con verbale n. 2 del 3.5.2000 e confermata con verbale n. 3 del 1°.6.2000, oltre che della successiva aggiudicazione definitiva.

3. Resiste alla presente impugnativa, con atto di costituzione depositato in giudizio il 13 luglio 2000, il Comune di Rionero che ha confutato la fondatezza delle censure avversarie concludendo per il rigetto del ricorso; spese vinte.

4. Nella camera di consiglio del 13 luglio 2000 l’esame della domanda cautelare è stato rinviato alla discussione “nel merito” del ricorso.

5. Alla pubblica udienza del 21 febbraio 2001 la ditta ricorrente ha depositato brevi note difensive insistendo per l’accoglimento del ricorso. L’istanza cautelare non è stata ribadita; indi, il ricorso è stato introitato per la decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Con il primo mezzo di impugnativa, la ditta ricorrente sostiene di aver interpretato la clausola del bando prevedente, tra gli altri requisiti richiesti per la partecipazione alla procedura concorsuale, anche “l’esecuzione, nell’ultimo quinquennio, di lavori appartenenti alla categoria 0S22 di cui all’allegato A del D.P.R. N° 34/2000 non inferiore al 40% di quello da affidare” nel senso che l’aliquota del 40% fosse da rapportarsi all’importo del lavoro di categoria prevalente (che sarebbe pari a £. 240.634.914).

L’interpretazione data dall’impresa ricorrente alla clausola in questione sarebbe invero congruente con il sistema introdotto dal D.P.R. n. 34/2000, e segnatamente con le previsioni contenute negli artt. 18 e 31.

La commissione di gara avrebbe invece manifestato un diverso avviso, in quanto dal verbale del 3.5.2000 emergerebbe, seppur per implicito, che l’organo preposto alla valutazione delle offerte avrebbe ritenuto che l’importo dei lavori della categoria prevalente eseguiti nel quinquennio andasse rapportato in percentuale (non inferiore al 40%) all’importo complessivo dei lavori, ossia a quello posto a base d’asta (pari a £. 466.880.454), e non già agli importi afferenti il solo lavoro di categoria prevalente.

L’inespresso assunto della commissione si rivelerebbe però del tutto apodittico.

Invero, a fronte di una clausola asseritamente non chiara, l’organo di gara avrebbe dovuto esternare un minimo di motivazione e di ragionamento che desse conto del perché la disposizione del bando andasse letta in modo diverso da quello che l’impresa ricorrente assume di aver fatto proprio.

Peraltro, nel caso di specie la clausola in questione si presterebbe ad una duplice interpretazione (quella che la ricorrente assume di aver dato, e quella in base alla quale la commissione di gara ha assunto l’impugnato provvedimento di esclusione).

Con la conseguenza che il contestato provvedimento di esclusione si porrebbe altresì in contrasto con i principi ermeneutici in sede di gare, i quali impongono che, a fronte di possibili diverse interpretazioni del bando, vada preferita quella che consente una più ampia platea di concorrenti: nel caso di specie, quella che avrebbe condotto alla partecipazione alla gara dell’impresa ricorrente.

2.1. L’assunto della ditta ricorrente va disatteso.

Esso muove, infatti, dalla premessa, non condivisibile, secondo cui la suddetta clausola del bando sarebbe ambigua e suscettibile pertanto di una duplice interpretazione, laddove essa è, invece, chiara nell’esigere che l’importo dei lavori della categoria prevalente deve essere rapportato ad una percentuale non inferiore al 40% dell’importo dei lavori a base d’asta.

Il bando di gara, nel paragrafo riservato ai requisiti di partecipazione, testualmente recita: “Possono partecipare alla gara le imprese certificate SOA, ai sensi del D.P.R. 25.01.2000 N°34, per la categoria 0S22, classifica fino a L. 500.000.000…, o le imprese in possesso dei suddetti requisiti di ordine tecnico – organizzativo di cui all’art. 31 del D.P.R. N°34/2000:

a) cifra d’affari in lavori, eseguiti nell’ultimo quinquennio, non inferiore a 1,75 volte l’importo dell’appalto;

b) esecuzione, nell’ultimo quinquennio, di lavori appartenenti alla categoria 0S22 di cui all’allegato A del D.P.R. N° 34/2000 non inferiore al 40% di quello da affidare;

c) costo complessivo sostenuto per il personale dipendente non inferiore ai valori fissati dall’art. 18, comma 10, del D.P.R. N° 34/2000, riferiti alla cifra d’affari effettivamente realizzata;

d) dotazione stabile di attrezzatura tecnica secondo i valori fissati dall’art. 18, comma 8, del D.P.R. N° 34/2000, riferita alla cifra d’affari effettivamente realizzata, ridotti del 50%“.

Nello stesso bando di gara, al successivo paragrafo, tra la documentazione da presentare a corredo dell’offerta, è indicata la: “..3) Certificazione SOA, ai sensi del D.P.R. 25.01.2000 N°34, per la categoria 0S22, classifica fino a L. 500.000.000…., o dichiarazione sottoscritta dal titolare o legale rappresentante dell’impresa, resa ai sensi dell’art. 20 della Legge N°15/68 e successive modificazioni, o ai sensi dell’art. 3, comma 11, della Legge N° 127/97 e successive modifiche ed integrazioni (con allegazione di fotocopia di documento di identità), comprovante il possesso dei requisiti di cui all’art. 31 del D.P.R. N° 34/2000“.

L’art. 31 del D.P.R. n. 34 del 2000 (recante disposizioni sugli appalti di importo superiore a 150.000 euro ed inferiore al controvalore in euro di 5.000.000 di DSP) prevede, a sua volta, che : ” Alle procedure di affidamento di appalti di importo superiore a 150.000 euro ed inferiore al controvalore in euro di 5.000.000 di DSP, i cui bandi sono pubblicati entro il 31 dicembre 2001, sono ammesse le imprese in possesso dei seguenti requisiti:

a) cifra d’affari in lavori, non inferiore a 1,75 volte l’importo dell’appalto da affidare;

b) esecuzione di lavori appartenenti alla categoria prevalente oggetto dell’appalto di importo non inferiore al 60% di quello da affidare; per gli appalti di importo pari o inferiori a 3.500.000 di euro, la percentuale è fissata al 40%;

c) costo complessivo sostenuto per il personale dipendente non inferiore ai valori fissati dall’articolo 18, comma 10, riferiti alla cifra d’affari effettivamente realizzata;

d) dotazione stabile di attrezzatura tecnica secondo i valori fissati dall’articolo 18, comma 8, riferiti alla cifra d’affari effettivamente realizzata; per le procedure i cui bandi sono pubblicati entro il 31 dicembre 2000 il valore richiesto è pari alla metà.

2. Nel caso in cui i requisiti richiesti ai sensi del comma 1, lettere c) e d), non rispettino i valori previsti, si applicano le disposizioni previste dall’articolo 18, comma 15; la cifra d’affari cosi figurativamente rideterminata vale per la dimostrazione del possesso del requisito di cui al comma 1, lettera a).

3. A partire dal 1° gennaio 2001 i requisiti di cui al comma 1, lettere a) e b), sono incrementati del trenta per cento“.

Così delineato il quadro normativo di riferimento, il significato della disposizione in esame appare di immediata ed agevole comprensione, anche alla luce della lettura coordinata della previsione di cui alla lettera b) dell’art. 31 D.P.R. n. 34/2000 (riprodotta nel bando di gara) con quella riportata nella precedente lettera a) dello stesso articolo.

Così come per la cifra d’affari in lavori eseguiti nell’ultimo quinquennio la percentuale richiesta è rapportata “..all’importo dell’appalto” (come recita il bando di gara) o “..all’importo dell’appalto da affidare” (come dispone l’art. 31 D.P.R. 34/2000), anche per l’importo dei lavori eseguiti nello stesso periodo ed appartenenti alla categoria prevalente la percentuale minima del 40% deve essere rapportata all’importo dei lavori da affidare, che nella specie è pari a £. 466.880.554.

Per contro, le richiamate disposizioni non offrono alcun elemento testuale che possa giustificare l’interpretazione che delle stesse l’impresa ricorrente ha sostenuto di aver dato, e cioè che la percentuale dei lavori eseguiti nell’ultimo quinquennio e relativi alla categoria 0S22 dovrebbe essere rapportata ai soli lavori ricompresi in detta categoria, che la ditta interessata ha quantificato in £. 240.634.914 scorporando le prime tredici voci riportate nel computo metrico predisposto dalla stazione appaltante.

Né, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, l’interpretazione della clausola in questione che la ditta ricorrente assume di aver fatta propria è congruente con il sistema introdotto dal D.P.R. n. 34/2000.

E’ vero, invece, il contrario.

L’art. 18 del D.P.R. n. 34 del 2000 (recante indicazione dei requisiti speciali richiesti per la qualificazione) prevede, al comma 5, che la adeguata idoneità tecnica è dimostrata, tra l’altro: “…b) dall’esecuzione di lavori, realizzati in ciascuna delle categorie oggetto della richiesta, di importo non inferiore al 90% di quello della classifica richiesta; l’importo è determinato secondo quanto previsto dall’articolo 22; c) dall’esecuzione di un singolo lavoro, in ogni singola categoria oggetto della richiesta, di importo non inferiore al 40% dell’importo della qualificazione richiesta, ovvero, in alternativa, di due lavori, nella stessa singola categoria, di importo complessivo non inferiore al 55% dell’importo della qualificazione richiesta, ovvero, in alternativa, di tre lavori, nella stessa singola categoria, di importo complessivo, non inferiore al 65% dell’importo della qualificazione richiesta; gli importi sono determinati secondo quanto previsto dall’articolo 22″.

Ora, in sede di qualificazione delle imprese, la previsione di una percentuale minima di lavori eseguiti nella categoria richiesta rapportata all’importo della qualificazione richiesta trova il proprio fondamento giustificativo nella circostanza che la qualificazione nella sola categoria prevalente è, di norma, condizione sufficiente per la partecipazione alle gare (v. art. 73 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, recante regolamento di attuazione della legge quadro sui lavori pubblici n. 109 del 1994), e che per la partecipazione alle stesse non può essere richiesto un importo di qualificazione nella categoria prevalente superiore a quello posto a base di gara (ed, infatti, la stazione appaltante ha correttamente richiesto che le imprese già qualificate dovessero produrre, “Certificazione SOA…per la categoria 0S22, classifica I fino a L. 500.000″, che costituisce l’importo minimo di qualificazione).

Di tal ché appare coerente con detta previsione quella transitoria, contenuta nel successivo art. 31 del D.P.R. n. 34/2000, e riprodotta del bando di gara, che, rettamente interpretata, richiede che le imprese non in possesso della certificazione SOA (e quindi non ancora classificate) debbano dimostrare il possesso dei requisiti di idoneità tecnica dando prova dell’esecuzione, nell’ultimo quinquennio, di lavori appartenenti alla categoria prevalente per un importo non inferiore al 40% dell’importo dei lavori posto a base di gara.

Si aggiunga che analoga previsione è contenuta nel D.P.C.M. 10/1/1991 n. 55 (recante disposizioni per la redazione dei bandi), i cui artt. 5 e 6 prescrivono che il requisito della idoneità tecnica è provato, tra l’altro, a mezzo della esecuzione dei lavori nella categoria prevalente “… per un importo complessivo variabile tra 0,30 e 0,40 volte l’importo a base d’asta”.

2.2. Ciò premesso, risulta che l’impresa ricorrente, in sede di partecipazione alla gara, aveva dichiarato che “..l’esecuzione dei lavori appartenenti alla categoria prevalente 0S22 di cui all’allegato A del D.P.R. n. 34/2000 oggetto dell’appalto è superiore al 40% di quello da affidare”.

Una volta individuata, in sede di sorteggio, tra le imprese tenute a comprovare il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, la ditta ricorrente ha prodotto, secondo quanto dichiarato in ricorso, la relazione finale redatta dal direttore dei lavori di adeguamento funzionale dell’impianto di depurazione delle acque reflue a servizio dell’abitato di Laurenzana, da cui si evince l’esecuzione – nel corso dell’anno 1997 – di lavori appartenenti alla categoria 0S22 per un importo di £. 142.532.160.

La stazione appaltante ha ritenuto, correttamente interpretando ed applicando la previsione del bando in esame, che l’odierna ricorrente non fosse in possesso dei requisiti di idoneità tecnica richiesti, avendo verificato l’esecuzione di lavori relativi alla categoria 0S22 nel quinquennio precedente in misura inferiore al 40% dell’importo dei lavori da affidare. Ed ha conseguentemente, e doverosamente, disposto l’esclusione della ditta ******* dalla gara.

In conclusione, è infondato il primo motivo di ricorso.

3. Non coglie nel segno neppure il secondo mezzo di impugnativa, con il quale la ditta ricorrente sostiene che, nel caso di specie, non sussisterebbero i presupposti per l’applicazione dell’art. 10, comma 1 quater della L. 109 del 1994.

Infatti, se anche concettualmente potesse ammettersi che, dopo aver privilegiato una certa interpretazione della clausola anziché un’altra, ed aver constatato la mancanza del requisito (assunto come) prescritto dal bando in capo all’impresa sottoposta a verifica, tanto possa comunque condurre alla esclusione della medesima ditta, altrettanto non sarebbe a dirsi per l’ulteriore misura dell’escussione della cauzione.

L’applicazione di una sanzione così grave non potrebbe infatti prescindere dall’indagine sull’elemento soggettivo o psicologico che dir si voglia, ossia sulla coscienza e volontarietà di rendere dichiarazioni difformi dal vero su stati personali giuridicamente rilevanti.

Nel caso in esame la documentazione prodotta non avrebbe sconfessato la dichiarazione resa dalla ditta ricorrente in sede di presentazione dell’offerta, avendo appunto la concorrente inteso rapportare la percentuale prevista dalla clausola del bando non già all’importo totale dei lavori, ma all’importo della categoria prevalente.

Sicché nel comportamento tenuto dall’impresa non sarebbe ravvisabile alcun elemento che conduca a ritenere che la stessa abbia voluto turbare il buon andamento di una gara, dichiarando falsamente e coscientemente il possesso di un requisito di cu difettava.

Pertanto, la circostanza che la documentazione prodotta sarebbe congruente con la dichiarazione resa, la mancanza di volontarietà, l’assenza di un minimo di indagine sull’elemento psicologico, renderebbero palesemente illegittima la determinazione di escussione della cauzione.

3.1. L’art. 10, comma 1 quater, L. n. 109 del 1994, aggiunto dall’art. 3, comma 1, della L. n. 415 del 1998, prevede che i soggetti aggiudicatori, prima di procedere all’aperture delle buste delle offerte presentate, richiedono ad un numero di offerenti non inferiore al 10 per cento delle offerte presentate, arrotondato all’unità superiore, scelti con sorteggio pubblico, di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti dal bando, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. Quando tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute nelle domande di partecipazione o nell’offerta, i soggetti aggiudicatori procedono all’esclusione del concorrente dalla gara, alla escussione della relativa cauzione provvisoria, e alla segnalazione del fatto alla Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici per i provvedimenti di cui all’articolo 4, comma 7, nonché per l’applicazione delle misure sanzionatorie di cui all’articolo 8, comma 7, della L. n. 109/94.

Osserva il collegio come, prima dell’entrata in vigore della legge-quadro sui lavori pubblici, la cauzione provvisoria dovesse servire come garanzia per l’amministrazione dell’adempimento dell’aggiudicatario dell’obbligazione relativa alla sottoscrizione del contratto.

Con l’introduzione del comma 1 quater dell’art. 10 della L. n. 109 del 1994, la previsione relativa all’incameramento della cauzione provvisoria è stata estesa anche ai partecipanti diversi dall’aggiudicatario assumendo in tal modo una funzione di garanzia, non più in riferimento alla stipula del contratto, sebbene alla serietà ed affidabilità dell’offerta (cfr., Cons. Stato, IV Sez., 18 maggio 1998, n. 124).

La sanzione dell’incameramento della cauzione provvisoria è quindi correlata, nelle intenzioni del Legislatore, alla violazione dell’obbligo di diligenza –che si consuma anche con l’erronea interpretazione di norme della legge di gara- nelle trattative precontrattuali, che grava su ciascun concorrente sin dalla fase di partecipazione alla gara e di presentazione dell’offerta.

Cosicché la sanzione dell’incameramento della cauzione provvisoria prescinde dall’accertata falsità delle dichiarazioni rese dalle imprese verificate, rendendosi applicabile per il solo dato formale ed obiettivo dell’inadempimento.

La stazione appaltante non può pertanto ritenersi onerata del compito di svolgere indagini sull’elemento psicologico del concorrente che non abbia dato prova del possesso dei requisiti prescritti, onde accertare se questi abbia o meno falsamente e coscientemente dichiarato il possesso di requisiti di cui difettava.

Ciò contrasta sia con la lettera della norma che non lascia spazio ad alcuna valutazione discrezionale per la stazione appaltante dovendo la stessa, al verificarsi dell’inadempimento, procedere alla esclusione dalla gara, all’escussione della cauzione, ed alla segnalazione del fatto all’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici; sia con la sua ratio, che è quella di pervenire ad una rapida verifica dei requisiti richiesti, per poi procedere con celerità alla conclusione delle operazioni di gara.

Che poi l’applicazione della sanzione dell’incameramento della cauzione provvisoria prescinda totalmente da ogni indagine sulla falsità delle dichiarazioni rese, ma consegua esclusivamente al solo fatto oggettivo dell’inadempimento, risulta con evidenza dalla circostanza che la detta sanzione è automaticamente correlata anche alla mancata dimostrazione nei termini di legge del possesso dei requisiti richiesti.

L’automatismo ed il carattere sanzionatorio degli adempimenti a carico delle stazioni appaltanti non precludono, tuttavia, la prospettazione di una duplice attenuazione degli effetti previsti dalla disposizione in esame.

La prima riguarda l’ipotesi che, ad istanza dell’impresa, sia comprovata la non imputabilità alla stessa dell’omissione o del ritardo nella presentazione della documentazione idonea comprovare il possesso dei requisiti richiesti. In questa ipotesi, viene meno lo stesso riferimento all’impresa del comportamento materiale che è a presupposto della sanzione. Equiparabile è il caso in cui non sussistano gli estremi della fattispecie prevista dalla legge (come nell’ipotesi di errore della stazione appaltante nel ritenere non provato il possesso dei requisiti richiesti). In tali casi deve ritenersi ammissibile in sede amministrativa, nei limiti in cui si è verificata una situazione di impossibilità non imputabile all’impresa, l’esercizio dei poteri di autotutela con restituzione della cauzione già incamerata.

La seconda ipotesi -quella che, nella prospettazione attorea, ricorrerebbe nel caso di specie- è configurabile solo nel momento successivo della concreta irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al comma 7 dell’art. 4 della L. n. 109 del 1994 da parte della Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, assumendo rilevanza in tal caso oltre all’inadempimento anche la mancanza di “giustificati motivi”.

Anche il secondo motivo deve, pertanto, essere respinto.

4. Miglior sorte non spetta al terzo mezzo di impugnativa, con il quale si sostiene che, in corretta applicazione degli artt. 7 e ss. della L. n. 214/90, la determinazione di escussione della cauzione non avrebbe potuto legittimamente essere adottata se non previa attivazione delle formalità garantiste di cui alla legge sul procedimento amministrativo.

Se non proprio alla comunicazione dell’avvio del procedimento, l’Amministrazione avrebbe potuto quanto meno ricorrere ai più snelli procedimenti partecipativi disciplinati dall’art. 21 del D.L.vo n. 406 del 1991 che, proprio in tema di requisiti di partecipazione, consente alla P.A. di invitare i concorrenti a chiarire le dichiarazioni prodotte.

4.1. Quanto alla dedotta violazione dell’art. 7 della L n. 241/90, appare sufficiente rilevare che, all’atto della richiesta di invio della documentazione necessaria a comprovare il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, ai sensi dell’art. 10 comma 1 quater L. n. 109 del 1994, l’impresa viene formalmente informata dell’avvio della relativa procedura e quindi degli effetti che conseguono all’eventuale esito negativo della verifica, sicché non è necessaria una seconda comunicazione relativa alla determinazione di esclusione dalla gara e di incameramento della cauzione. L’impresa è infatti a conoscenza della procedura in corso, e può quindi intervenire rappresentando le proprie ragioni, secondo le modalità di cui alla legge n. 241 del 1990.

4.2. Quanto, poi, alla possibilità per la stazione appaltante di avvalersi dei più snelli strumenti partecipativi disciplinati dall’art. 21 del D.L.vo n. 406 del 1991 (abrogato dall’art. 231 del D.P.R. n. 554 del 1999), si osserva –in disparte ogni considerazione sull’applicabilità di detta disposizione alla fattispecie in esame, scandita da termini perentori per la produzione della documentazione comprovante il possesso dei requisiti prescritti- che la facoltà riconosciuta alla stazione appaltante di invitare i concorrenti a completare o a chiarire la documentazione e le dichiarazioni presentate a riprova della sussistenza dei requisiti di capacità tecnica può essere esercitata laddove si manifesti l’esigenza di chiarire il contenuto di dichiarazioni e/o documentazione presentate di non immediata ed agevole comprensione, laddove nel caso di specie, come lo stessa ricorrente afferma, la documentazione prodotta all’esito della richiesta dell’Ente appaltante era invece chiara nel dimostrare l’esecuzione di lavori relativi alla categoria prevalente per un importo inferiore al 40% dell’importo posto a base d’asta.

5. Cade, di conseguenza, per le considerazioni fin qui esposte, anche l’ultimo mezzo di impugnativa, con il quale si assume l’invalidità, in via derivata, dell’aggiudicazione dell’appalto in favore della controinteressata impresa ************6.

Per le ragioni fin qui esposte, il ricorso deve essere respinto.

7. Spese ed onorari di giudizio vanno posti a carico dell’impresa ricorrente, secondo il principio della soccombenza; di essi è fatta liquidazione in dispositivo.

P.Q.M.

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA BASILICATA

pronunciando sul ricorso in epigrafe proposto da ******* *******, lo rigetta.

Condanna il ricorrente alla rifusione, in favore del Comune di Rionero in Vulture, di spese ed onorari di giudizio, liquidandoli in complessive £. 2.000.000 (duemilioni), oltre I.V.A. e C.P.A.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Potenza, addì 21 febbraio 2001 dal

Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata

nella Camera di Consiglio con l’intervento dei signori:

Bartolomeo Perricone PRESIDENTE

Giuseppe Buscicchio COMPONENTE Est.

Giulia Ferrari COMPONENTE

IL PRESIDENTE

L’ESTENSORE

SEGRETARIO

Depositata il 12 marzo 2001.

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Andrea Maso