Finalmente un po’ di chiarezza (mi credete ora??????)

Corte dei Conti della Sardegna, Sezione del Controllo, delibera numero 6 del 26 gennaio 2021

Imprescindibile punto di partenza si palesa l’art. 28 della Costituzione che ha introdotto, come regola generale, la responsabilità diretta dell’agente pubblico disponendo che “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione dei diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”.

L’affermazione della responsabilità diretta dei funzionari e dei dipendenti pubblici non esclude che tale responsabilità venga declinata in maniera particolare e differenziata in relazione alle varie categorie di agente pubblico o alle particolari situazioni regolate, stante in tal senso il rinvio alla legge ordinaria, contenuto nel citato art. 28, che rimette alla discrezionalità del legislatore la determinazione dei presupposti e degli eventuali limiti a detta responsabilità, entro i confini tracciati in materia dalla giurisprudenza costituzionale.

Per quanto di interesse nella corrente esposizione la legge ordinaria che pone limiti alla responsabilità diretta dei funzionari è il d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3 (“Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato” – Statuto degli impiegati civili dello Stato) che definisce l’area dei danni imputabili al dipendente pubblico facendo riferimento alla soglia psicologica dell’illecito che dovrà raggiungere il grado del dolo o della colpa grave, come si avrà modo di precisare nel prosieguo.

Rinvenuta la ratio dell’art. 28 della Costituzione nell’intento di “rafforzare, oltre che la legalità dell’azione amministrativa, la tutela dei privati contro gli atti illeciti della pubblica amministrazione” (sentenza Corte costituzionale n. 64/1992), la finalità di garantire una tutela effettiva del terzo è raggiunta attraverso il meccanismo della solidarietà passiva in forza del quale l’amministrazione di appartenenza dell’agente, legato alla stessa dal rapporto di c.d. immedesimazione organica, è chiamata a rispondere per i danni arrecati a soggetti estranei all’apparato pubblico dal dipendente che ha agito nell’esercizio dei compiti istituzionali.

Invero, dall’esame della casistica giurisprudenziale in materia di responsabilità per danni cagionati dal personale pubblico, emerge la preferenza, da parte del terzo che ha subito la lesione di un proprio diritto soggettivo o di un proprio interesse legittimo, a rivolgersi, per il ristoro del danno sofferto, anche (se non esclusivamente) nei confronti dell’ente pubblico di appartenenza del dipendente. Simile opzione processuale trova una ragionevole spiegazione nella duplice circostanza che l’amministrazione pubblica è soggetto che, tendenzialmente, non ha problemi di solvibilità (a 9

differenza dell’autore materiale dell’illecito che potrebbe non disporre dei mezzi sufficienti a rifondere il privato danneggiato) e che l’elemento soggettivo per l’imputazione della responsabilità a carico l’amministrazione è ancorato al più ampio parametro della culpa levis (a fronte della culpa lata e del dolo previsti per il dipendente pubblico).

Le considerazioni finora svolte valgono a mettere a fuoco l’esistenza di un interesse giuridicamente rilevante in capo all’amministrazione rispetto alla stipula di contratti di assicurazione a copertura dei propri agenti. In effetti, poter traslare il rischio connesso al risarcimento per responsabilità civile del dipendente su una compagnia di assicurazione ha un effetto positivo per l’ente pubblico che, in difetto di polizza assicurativa, resta esposto all’eventualità di dover rispondere in via esclusiva per l’operato del proprio personale nell’ipotesi in cui la lesione del principio del neminem laedere avvenga con colpa lieve.

Alla luce di quanto sopra esposto il Collegio intende sottolineare e ribadire che “un ente pubblico può assicurare esclusivamente quei rischi che rientrino nella sfera della propria responsabilità patrimoniale e che trasferiscono all’assicuratore la responsabilità patrimoniale stessa, ove si verifichi l’evento temuto, mentre sarebbe priva di giustificazione e, come tale, causativa di danno erariale, l’assicurazione di eventi per i quali l’ente non deve rispondere e che non rappresentano un rischio per l’ente medesimo” (Sezione giurisdizionale per la Regione Sicilia n. 734/2008)

Occorre, a questo punto, procedere alla disamina delle condizioni e dei limiti posti dalla legge per la responsabilità dell’impiegato pubblico con riferimento alla fattispecie giuridica sottesa al parere da rendere.

Per il personale degli enti locali viene in rilievo l’art. 93 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (“Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali” – Tuel) che, per la responsabilità patrimoniale dei dipendenti delle amministrazioni locali, richiama “le disposizioni vigenti in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato”. Il riferimento è agli artt. 18 e seguenti del d.p.r. n. 3/1957 e, segnatamente, all’art. 22, intitolato “Responsabilità verso i terzi”, in base al quale “L’impiegato che, nell’esercizio delle attribuzioni ad esso conferite dalle leggi o dai regolamenti, cagioni ad altri un danno ingiusto ai sensi dell’art. 23 è personalmente obbligato a risarcirlo”, cui fa immediato seguito il precetto per cui “L’azione di risarcimento nei suoi confronti può essere esercitata congiuntamente con l’azione diretta nei confronti dell’Amministrazione”. Il successivo art. 23 delinea i tratti del danno ingiusto rilevante per il sorgere della connessa responsabilità circoscrivendolo a “quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l’impiegato abbia commesso per dolo o colpa grave”.

In armonia con il dettato costituzionale risulta, quindi, che anche per il personale degli enti locali la regola generale è quella della responsabilità diretta del dipendente che è chiamato a rispondere per i danni causati con azioni (atti o attività) o omissioni (inerzie o ritardi). A tale responsabilità si affianca quella diretta e solidale dell’amministrazione di appartenenza, rispetto alla quale non vale la limitazione, sul crinale soggettivo, al dolo e alla colpa grave.

n sintesi, il regime della responsabilità civile verso terzi del lavoratore pubblico importa che nel caso di colpa lieve dell’agente risponde unicamente l’amministrazione e il debito connesso al risarcimento del danno entra, come elemento negativo, nel patrimonio dell’ente causandone il depauperamento.

Nel diverso caso di dolo o colpa grave dell’agente, l’amministrazione e il dipendente rispondono entrambi, direttamente e solidalmente; qualora sia l’ente a rifondere il danneggiato il dipendente risponderà a titolo di responsabilità erariale per danno c.d. indiretto. Con riferimento alla responsabilità erariale, soltanto in via incidentale, la Sezione menziona l’art. 21, comma 2, del d.l. 16 luglio 2020, n. 76 convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, che in parte riscrive i contorni dell’elemento subiettivo della responsabilità amministrativa ponendo una deroga temporale al titolo soggettivo dell’imputazione per colpa grave nei seguenti termini: “Limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2021, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente”. A differenza del comma 1 del citato art. 21 che, inserendo nell’art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 il periodo “La prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”, sembrerebbe dare diritto di cittadinanza a una modifica strutturale della nozione di dolo erariale, il comma 2 introduce soltanto una deroga temporanea all’imputazione per colpa grave, sicché il Collegio non ne tiene conto ai fini della presente trattazione in cui la responsabilità erariale viene evocata per mere ragioni di connessione logica e giuridica rispetto all’oggetto principale del quesito che verte sulla diversa forma di responsabilità civile da illecito aquiliano.

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Andrea Maso